L'ubriachezza


20ª Domenica dopo Pentecoste
L'ubriachezza
«Non abbandonatevi all'ubriachezza, che conduce all'impurità»
(Lettera agli Efesini 5,18).

San Paolo ci assicura che gli ubriachi non entreranno nel Regno dei Cieli; bisogna dunque, fratelli miei, che l'ubriachezza sia un grave peccato.
Questo è molto facile da comprendere, poichè, sotto qualunque aspetto lo consideriamo, questo peccato è infame, perfino agli occhi dei pagani; a maggior ragione, i cristiani devono temerlo mille volte di più della stessa morte.

Lo Spirito Santo ce lo dipinge in una maniera spaventosa: «Maledetti, voi che siete gagliardi nel bere il vino, e valorosi nell'abbandonarvi all'ubriachezza!» (Isaia 22,11).
Ahimè! fratelli miei, sono ben pochi coloro che essendo contagiati da questo vizio orribile, e lavorano per correggersene.
Gli uni non vedono niente di male nel bere a ogni incontro; gli altri pensano che, purchè non perdano la ragione, non commettono un grosso peccato; altri, infine, si scusano col fatto che le compagnie li trascinano.

Per disingannarli tutti da questi errori, io mostrerò loro:
1°- che tutto condanna l'ubriachezza;
2°- che tutti i pretesti che possono allegare, non sono capaci di giustificarli, davanti a Dio.

Per mostrarvi, fratelli miei, la grandezza del peccato di ubriachezza, dovrei potervi far conoscere la gravità dei mali che trascina con sè, nel tempo e nell'eternità; cosa che non sarà mai concessa a un uomo mortale, poichè non vi è che Dio solo che possa conoscerla.
Tutto quello che ve ne dirò, non sarà quindi nulla, in confronto a ciò che è realmente.

Dapprima, converrete con me che una persona, che abbia ancora un po' di buon senso e di religione, non può essere indifferente e insensibile alla perdita della sua reputazione, della sua salute e della sua salvezza.
Per spiegarmi ancora meglio, vi dirò che l'ubriaco, a causa del suo peccato, si attira la rovina della sua salute, l'avversione degli uomini, e la maledizione di Dio stesso.

Io credo, fratelli miei, che solo questo dovrebbe essere suficiente per farvene concepire un orrore esecrabile (il curato è particolarmente sensibile al vizio dell'ubriachezza, che nel villaggio rurale di Ars, era parecchio in voga, e che produceva molti danni alla convivenza civile e, soprattutto familiare; quello che lui dirà nell'omelia potrà essere applicato, a maggior ragione ai nostri moderni vizi di uso di sostanze intossicanti, quali caffè, alcol, sigarette, e altre droghe; n.d.a).

Quale vergogna per una persona, ma soprattutto per un cristiano, immergersi in questo infame pantano!
Lo Spirito Santo ci dice nella Sacra Scrittura, che bisogna mandare il parassita dalle formiche, per imparare da esse come si lavora, ma, quanto all'ubriacone, occorre mandarlo dalle bestie brute per imparare da loro la temperanza nel bere e nel mangiare.

Quando si vuole stimolare un peccatore a uscire dal peccato, ci si affretta a proporgli gli esempi di Gesù Cristo e dei santi, ma per un ubriacone, bisogna cambiare discorso, e proporgli come esempio gli animali, senza temere di scendere fino a quelli più immondi.

Grande Dio! quale orrore!
San Basilio ci dice che non bisognerebbe tollerare gli ubriachi tra gli esseri umani, ma che bisognerebbe scacciarli, e relegarli tra le bestie selvagge che popolano il folto delle foreste.

Questo peccato sembrava odioso perfino ai pagani.
Si racconta nella storia che i magistrati della città di Sparta, i cui abitanti erano molto sobri, per far comprendere bene ai giovani quanto questo vizio sia indegno di una creatura ragionevole, facevano venire, in certi giorni dell'anno, in mezzo alla pubblica piazza, uno schiavo che avevano fatto ubriacare.
I giovani, vedendo quest'uomo trascinarsi nell'acqua o nel fango, si meravigliavano e gridavano: «O cielo! da dove può mai venire un tale mostro? Ha un aspetto umano, ma ha meno ragione di una bestia bruta».

Vedete, fartelli miei, come, pur essendo pagani, essi non potessero concepire che una creatura ragionevole fosse capace di abbandonarsi a una passione che lo riducesse in uno stato così disonorante.

Leggiamo ancora che un giovane signore, un uomo per bene, aveva un servo assai disgraziato, che di tanto in tanto si gettava sul vino.
Un giorno, mentre andava in chiesa, lo incontrò in quello stato, e gli chiese dove stesse andando.
«Vado in chiesa a pregare il buon Dio, gli rispose il servo».
«Tu, vai in chiesa, gli ribattè il padrone? ah! infame! come potresti pregare il buon Dio, quando non sei in grado nemmeno di pascere il tuo cavallo?».

Non accade per questo peccato come per tutti gli altri che, col tempo, possono correggersi; per questo occorre un miracolo della grazia, e non una grazia ordinaria.
Volete chiedermi perchè gli ubriachi si convertono così raramente?
Eccovene la ragione: è perchè essi non hanno nè fede nè religione, nè pietà, nè rispetto per le cose sante; niente è capace di toccarli e di far aprire loro gli occhi sul loro stato sciagurato.

Se li minacciate col pensiero della morte, del Giudizio, dell'inferno, che li attende per bruciarli, o se li intrattenete sulla felicità che Dio riserva a coloro che lo amano, per tutta risposta essi vi faranno un piccolo sorriso maligno, che significa: «Tu pensi forse di farmi paura, come si fa con i bambini, ma io non appartengo ancora al numero di quelli che si lasciano...per credere a tutto ciò».

Il suo Dio è il vino, e questo gli basta.
«Vai via, sciagurato! gli dice lo Spirito Santo, quel vino che bevi con eccesso, è come una biscia che ti dà la morte» (Proverbi (?)).
Tu ora non credi a nulla, ma nell'inferno imparerai che esiste un altro Dio, oltre al tuo ventre.

A parte il male che l'ubriaco fa a se stesso con questo peccato, a quale eccesso non è capace di arrivare, quando è nella crapula?
Sant'Agostino ce ne riporta un esempio spaventoso.
Nella città dove era vescovo, un giovane, di nome Cirillo, aveva come tanti altri, ahimè! la maledetta abitudine di frequentare i cabarets.
Un giorno che ritornava dal suo debosciamento, egli spinse il furore della passione così lontano, da insidiare la sua stessa sua madre, che era incinta.
Vedendosi nelle mani di questo figlio maledetto, ella si dibattè con tale sforzo, che procurò la morte al povero figlio che portava in grembo.
O mio Dio! quale disgrazia! un bambino che non vedrà mai il Cielo, per il furore di questo sciaguarato libertino!...
Quell'infame, vedendo che non poteva possedere la madre, si mise a rincorrere una delle sue sorelle, la quale avrebbe preferito farsi pugnalare, piuttosto che acconsentire al suo infame desiderio.
Il padre, avendo sentito tutto quel rumore, accorse per liberare la figlia. Il disgraziato si getta su suo padre, lo colpisce a colpi di coltello, e lo fa cadere ai suoi piedi.
Un'altra delle sue sorelle corse in aiuto di suo padre, che stava vedendo assassinare, ma il disgraziato pugnala anche lei.

O Cielo! quale orrore! quale passione è simile a questa?
Avendo sant'Agostino fatto radunare i fedeli in chiesa, per informarli di questo avvenimento, come racconta lui stesso, tutti scoppiarono in pianto, ascoltando questo crimine.

Vedete, fratelli miei, quale orrore verso questo peccato, ci vuole ispirare lo Spirito Santo, quando ci dice: «Non guardate il vino, quando brilla nel bicchiere. Se lo bevete in eccesso, aggiunge, vi morderà come un serpente, e vi avvelenerà come un basilisco» (Proverbi 23, 31-32).

«Volete voi, ci dice san Basilio, sapere che cos'è lo stomaco di un ubriacone? ecco: è una riserva, piena di tutte le immondizie del cabaret. Vedrete, generalmente, ci dice, un ubriaco condurre una vita languida; non è capace di nulla, se non di rovinare la sua salute, di divorare i suoi beni, e di gettare la sua famiglia nella miseria: ecco tutto quello di cui è capace».

Bisogna che questa passione sia molto disonorevole, dal momento che il mondo, per quanto possa essere corrotto, non cessa di nutrire un supremo disprezzo per gli ubriachi, e di riguardarli come una pubblica peste.
E questo non è difficile da comprendere: non è forse vero che questo vizio racchiude in sè tutto quello che è capace di rendere un uomo infame e odioso, agli occhi degli stessi pagani?

Non è forse odioso, allorchè, trascurando i suoi affari, rovina la sua famiglia e la getta nella miseria?
Non è forse odioso, per gli scandali che produce, per la turpitudine della sua vita, e per le ingiurie che scaglia, sia verso i suoi superiori che verso gli inferiori? Poichè un ubriaco non ha rispetto maggiore per gli uni che per gli altri.
Converrete con me, fratelli miei, che tutto questo è più che sufficiente, per rendere una persona spregevole.

Ascoltatemi un istante, e lo capirete meglio.
Dove trovereste un padre, che voglia dare sua figlia a un ubriaco, se lo conosce come tale?
Non appena gli farete la proposta, egli vi risponderà: «Se volessi far morire mia figlia di dispiacere, lo farei senz'altro; ma siccome amo i miei figli, preferisco che stia con me, anche per tutta la vita».

D'altronde, fratelli miei, dove si troverebbe una figlia che vorrebbe acconsentire a prendersi un giovane che si gira tutti i cabarets?
«Preferirei, vi dirà, andare a trascorrere tutta la vita in un bosco, piuttosto che prendermi un bruto che, forse, preso dal vino mi ucciderà, come si è visto abbastanza spesso».

Ditemi, fratelli miei, chi è quel proprietario che vorrebbe affidare il governo dei suoi possedimenti a un ubriaco, o incaricarlo di pagare le sue spese, o di andare a ricevere il suo denaro?
Tra cinquemila, non ne troverete uno solo che vi acconsenta, e hanno ben ragione.
Dov'è quel giudice che vorrebbe accogliere in tribunale la deposizione di un ubriaco?
Piuttosto lo farebbe scacciare dalla sua udienza, e ordinerebbe di condurlo nella sua scuderia, con i cavalli, o meglio ancora, con i porci se ce li ha.
Dove trovereste un uomo onesto che voglia comparire in una locanda, in compagnia di un ubriaco? Se nessuno lo conosce, forse ci passerà sopra, ma se si sente riconosciuto come un uomo perbene, subito si defilerà; oppure, se non può farlo, cercherà mille scuse per fare intendere che si è trovato con quella compagnia, senza saperlo.
Volete, durante una discussione, colpirlo nel vivo?
Dite che lo avete visto con quella compagnia: sarebbe come dirgli che lui stesso non vale più di quell'ubriacone, ben sapendo che a un ubriaco si affibbiano tutte le peggiori qualità.

San Basilio, ci dice che se le bestie fossero capaci di capire chi sia un ubriaco, esse non vorrebbero tollerare la sua compagnia, credendo di disonorarsi.
Un ubriaco, infatti, non si pone forse al di sotto delle bestie brute?
Guardate, infatti, come una bestia abbia i piedi per andare dove vuole, o dove la chiamano, mentre un ubriaco sembra non averne.
Quante volte lo troverete sdraiato per strada, simile a un animale a cui abbiano tagliato le gambe. Se avete la carità di aiutarlo a risollevarsi, subito ricasca, al punto che voi siete costretti o a lasciarlo nella melma, o a caricarvelo sulle spalle.
Non è forse vero?
«Sì, senza dubbio, penserete in voi stessi».

Una bestia ha due occhi per vedere, per orientarsi, per andare alla casa del suo maestro, e prendere posto da sola nella scuderia che gli ha assegnata.
Ma un ubriaco non ha occhi per recarsi a casa sua, non sa nemmeno se deve prendere la detra o la sinistra; se siete suoi vicini, nemmeno vi riconosce.
Chiedetegli se è giorno o se è notte, lui non ne sa nulla.

Una bestia ha le orecchie per sentire ciò che il padrone le dice; non può rispondergli, ma lo guarda, per mostrargli che è pronta a fare quello che le ordina.
Se un cane vede il suo padrone che ha perduto il suo fazzoletto o il suo bastone, si sente subito in dovere di andare a cercarli, glieli riporta e testimonia al suo padrone la gioia, il piacere che ha di rendergli dei servizi.

Ma se trovate un ubriaco disteso sulla strada, provate pure a parlargli per delle ore intere, egli non vi risponderà neppure, tanto le sue orecchie sono otturate, e tanto i suoi occhi sono ottenebrati dai fumi del vino.

Se l'ubriachezza gli lascia ancora la forza di aprire la bocca, vi risponderà una cosa per l'altra, e finirete per andarvene, deplorando il suo maledetto vizio.
Se, in tale stato, ha ancora qualche conoscenza, non vi è alcuna specie di sconcezza e d'infamia che non vi vomiti addosso; gli vedrete commettere delle azioni che farebbero arrossire i pagani, se ne fossero testimoni, e fa questo senza alcun rimorso.
Devo dare un ultimo colpo di pennello, per farvi meglio apprezzare qual è il valore, e quali sono le belle qualità di un ubriaco?
Aggiungo soltanto una parola: è un demonio d'impurità, rivestito di un corpo umano, che l'inferno ha vomitato sulla terra; è il più sporco, il più immondo di tutti gli animali.
Toglietegli l'anima, e non resta altro che la più infima delle beste che si trovano sulla faccia della terra (la descrizione, o, come dice lui, il dipinto della degradazione estrema e della degenerazione animalesca in cui le varie droghe, non solo l'alcol, inducono l'essere umano; l'invito costante a “visualizzare” tale situazione, sono, nella mano esperta del curato, un ottimo tentativo di disintossicare diversi suoi parrocchiani, da un vizio che metteva scompiglio nel villaggio, e portava alla rovina tante famiglie della sua parrocchia; n.d.a).

Credo che ormai, fratelli miei, siete in grado di farvi un'idea della gravità del peccato di ubriachezza.
Lo troviamo così orribile, e tuttavia non abbiamo che una conoscenza limitata della malizia di questo peccato; vi lascio pensare in che modo il buon Dio, che lo conosce in tutta la sua estensione, debba considerarlo!
Se Egli non fose immortale, potrebbe mai, senza morire di orrore, sopportare la vista di questo vizio che lo disonora nelle sue creature, dal momento che esse sono, ci dice san Paolo, le membra di Gesù Cristo?
Ma non andiamo oltre, fratelli miei, è abbastanza.
Vi dico soltanto che un impudico, sebbene sia un criminale, può ancora, perlomeno, produrre un atto di contrizione per il suo peccato, e così riconciliarsi con il buon Dio; ma quanto all'ubriaco, egli è incapace di mostrare il minimo segno di pentimento.
Ben lungi dal conoscere lo stato della sua anima, egli non sa neppure se è ancora nel mondo; per cui, fratelli miei, morire nell'ubriachezza, o morire da dannato, è la stessa cosa.

Noi diciamo, fratelli miei, che un ubriaco è del tutto incapace di lavorare per la sua salvezza, come ora vi mostrerò.
Bisognerebbe, perchè uscisse dal suo stato, che ne potesse sentire tutta la orribilità.
Ma, ahimè! egli non ha nessuna fede; non crede che molto debolmente le verità che la Chiesa ci insegna. Dovrebbe ricorrere alla preghiera, ma non prega quasi per nulla, oppure, se la fa, la fa mentre si veste o mentre si sveste, o si accontenterà di farsi il segno della croce, bene o male, gettandosi sul letto come un cavallo sul suo letame.

Dovrebbe fare uso dei sacramenti, che sono, malgrado il disprezzo che ne fanno gli empi, i soli rimedi che la Misericordia di Dio ci presenta, per attirarci a Lui.
Ma, ahimè! egli non conosce nè le disposizioni che bisogna apportarvi per riceverli degnamente, e nemmeno le minime cose che bisogna conoscere per potersi salvare.

Se voleste interrogarlo sul suo stato, egli non ne capisce niente, e vi risponderebbe una cosa per l'altra.
Se, in tempo di giubileo o di missione, egli vuole salvare le apparenze, si accontenterà di dire solo la metà dei suoi peccati, e poi, insieme agli altri, si accosterà alla santa Tavola, e cioè si avvierà a commettere un sacrilegio; e questo gli basta.
Mio Dio! che stato è mai quello di un ubriaco! com'è difficile poterne uscire!
Se vi prendeste la briga di osservare il contegno di un ubriaco quand'è in chiesa, pensereste che si tratti di un ateo che non crede a nulla; lo vedreste arrivare per ultimo, oppure lo vedreste uscire per rilassarsi un po', o per cercare qualche suo simile che lo accompagni al cabaret, mentre gli altri stanno ad ascoltare la santa Messa.

Il profeta Isaia ci dice che gli ubriachi sono delle creature inutili sulla terra, per ogni sorta di bene, mentre sono molto potenti, riguardo al male.
Per potervene convincere, fratelli miei, entrate in un cabaret, che san Giovanni Climaco chiama la “boutique” del demonio, la scuola in cui l'inferno riversa e insegna la sua dottrina, il luogo in cui si vendono le anime, dove i matrimoni vanno in rovina, dove la salute è compromessa, dove le dispute cominciano a infiammarsi, e si commettono gli omicidi.
Ahimè! tutte cose che suscitano orrore in coloro che ancora non abbiano perso la fede.
Cosa si ascolta, in questi luoghi? Lo sapete molto meglio di me: bestemmie, giuramenti, imprecazioni, parole oscene, e tante altre azioni vergognose che non si commetterebbero altrove!...

Guardate, fratelli miei, questo povero ubriaco! E' pieno di vino, ma la sua borsa è vuota. Si getta su di un banco o su una tavola. L'indomani si stupisce di trovarsi ancora nel cabaret, mentre si credeva a casa sua.
Poi se ne va, dopo avere speso tutto il suo denaro, e spesso è obbligato a lasciare in pegno il suo cappello o un abito, con un biglietto, per poter trascinare fuori il suo corpo, compreso il vino che ha bevuto.

Quando rientra a casa, la sua povera moglie e i suoi figli, che ha lasciato senza pane, con soltanto gli occhi per piangere, sono obbligati a prendere subito la fuga, altrimenti potrebbero essere maltrattati, come se fossero loro la causa della perdita del suo denaro, e dei cattivi affari che ha fatto.

Il concilio di Magonza, ha ben ragione di dirci che un ubriaco trasgredisce i dieci comandamenti di Dio.
Se volete convincervene, esaminateli gli uni dopo gli altri, e vedrete che un ubriaco è capace di fare tutto ciò che i comandamenti di Dio ci proibiscono.
Non voglio entrare nel dettaglio, perchè sarebbe troppo lungo.

San Giovanni Crisostomo ci dice, rivolgendosi al popolo della città di Antiochia: «State molto attenti, figli miei, a non lasciarvi andare all'ubriachezza, perchè questo peccato degrada l'uomo in una maniera così spaventosa, da metterlo al di sotto di una bestia bruta, priva di ragione.
Sì, continua, gli ubriachi sono veramente gli amici del demonio; dove ci sono gli ubriachi, ci sono anche i demoni, in gran numero».

Ahimè! fratelli miei, non occorre, forse, che questo peccato sia orribile agli occhi di Dio, perchè Egli lo punisca in una maniera spaventosa, già da questo mondo?
Eccovene un esempio sconcertante.

Leggiamo nella Sacra Scrittura, che il re Baldassarre per ricevere i grandi della sua corte, aveva organizzato una splendida festa, che sorpassava tutte quelle che aveva offerto loro, durante il suo regno.
Aveva fatto cercare, in tutto il suo regno, i vini più deliziosi.
Quando i suoi convitati si furono radunati, e, vantandosi di bere a grandi sorsi, il loro sangue cominciava a scaldarsi, e l'impudicizia, ad accendersi, poichè possiamo ben dire che l'uno non va senza l'altra, quando ormai si erano immersi nella voluttà, all'improvviso apparve di fronte al re una mano senza il corpo, che scriveva sul muro alcune parole che suonavano come condanna per quel re, senza che egli se ne accorgesse.
Ahimè! fratelli miei: l'uomo più fiero, più orgoglioso e più feroce, diventa piccolo piccolo, davanti a un fatto del genere, o piuttosto, al minimo accidente.

Baldassarre ne rimase così inorridito, e fu colto da un tale tremore, che le giunture dei suoi reni si spezzavano, e le ginocchia si urtavano l'uno contro l'altro.
Tutti i convitati furono in preda al medesimo terrore, e sembravano mezzi morti.

Il re si affrettò a fare cercare qualcuno che potesse fargli comprendere il significato di quelle parole, ma nessuno ci capiva nulla.
Allora ordinò di far venire tutti i suoi indovini, ossia i suoi falsi profeti.
Ognuno si sforzava di intendere, ma non giungevano a nulla.
Infine, fu riferito al re che Daniele, il profeta del Signore, avrebbe potuto, solo lui, darne la spiegazione.

Poichè desiderava vivamente conoscere il senso di quelle parole, ordinò di portarglielo immediatamente.
Il profeta si presenta, senza alcuna resistenza, alla presenza del re, che lo riceve con molto rispetto, e gli chiede la spiegazione di quelle parole, offrendogli molti regali, ma il profeta li rifiuta.
«Principe, gli dice, ascolta. Ecco che cosa vogliono dire queste tre parole: “Mene, techel, pheres”. La prima: che i tuoi giorni sono contati, e che tu sei allla fine della tua vita e del tuo regno; la seconda, significa che sei stato pesato, ma sei stato trovato troppo leggero; la terza, che il tuo regno sarà diviso tra i Medi e i Persiani».
E così il re ascoltò, dalla bocca stessa del profeta, la sentenza di condanna, che gli annunciava la fine di tutte le sue crapule.
Notate bene, ciò accadde nel momento in cui questo disgraziato beveva, con i suoi convitati, nei vasi sacri prelevati da suo padre durante il saccheggio del tempio di Gerusalemme, mentre si riempivano il corpo di vino, e si immergevano nelle più sporche voluttà

O mio Dio! quale colpo di fulmine della tua collera! Ma egli non fu tramortito dalla paura, come si dice comunemente, ma tutto successe come il profeta gli aveva predetto: il re fu massacrato, e il suo regno fu diviso tra i Medi e i Persiani (l'intero racconto in Daniele, cap.5; n.d.a.).

Malgrado questo avvertimento, che sarebbe stato capace di convertire qualunque altro peccatore, quel disgraziato non fece altro che ostinarsi maggiormente, poichè non sembra che abbia dato il minimo segno di pentimento.
Secondo ogni probabilità, dalla sua crapula e dal suo spavento, discese dritto all'inferno.
Ciò dimostra come sia difficile che un ubriacone possa convertirsi.

Guardate ancora Oloferne, questo famoso orgoglioso che si vantava di riempirsi di vino fino a rigugitarlo, alla presenza della bella Giuditta.
Fu precisamente nella sua ubriachezza che ella gli tagliò la testa.

Oh! fratelli miei, quale funesta passione!
Chi potrebbe comprenderne la tirannia, e abbandonarvisi?
No, fratelli miei, una persona che si abbandona all'ubriachezza, non ha più freni, nemmeno verso i propri genitori, come abbiamo già detto.
Ma per farlo imprimere meglio nel vostro cuore, eccovi un esempio che non è meno spaventoso.

La storia racconta che un padre aveva un figlio il quale, pur essendo ancora giovane, aveva l'abitudine di frequentare spesso i cabarets.
Un giorno, avendolo visto ritornare da questo luogo di disgrazia, e notando che aveva bevuto un po' troppo, il padre volle fargli comprendere quanto fosse vergognoso per lui, che era ancora solo un ragazzo, andare nei cabarets, dove si compie del male, dove non si fa mai del bene.
Gli disse che avrebbe fatto meglio a fuggire quei luoghi dove si perdevano sia la sua reputazione che i suoi soldi, e che, se avesse continuato, si sarebbe visto cacciare da suo padre.

Quel giovane, sentendo queste parole, fu preso da una tale collera, che si scagliò su suo padre, e ferendolo a colpi di coltello, lo pugnalò e lo fece cadere per terra, ai suoi piedi, tutto coperto di sangue.
Ditemi, fratelli miei, avreste mai potuto immaginare che l'ubriachezza potesse portare un uomo a tali eccessi?

E così l'ubriaco non commette solo il peccato d'ingordigia, ma diviene capace, a causa di questo peccato, di abbandonarsi a ogni genere di crimini.

Se non temessi di essere troppo lungo, ve lo dimostrerei così chiaramente, che non potreste dubitarne.
Dopo di ciò, fratelli miei, non è necessario dirvi come dovete temere l'ubriachezza, e fuggire coloro che vi si abbandonano.
Ah! com'è da temere che coloro che ne sono contagiati, non si correggano mai più!

Tuttavia, fratelli miei, siccome la Misericordia di Dio è infinita, ed egli vuole salvare gli ubriachi, come tutti gli altri, sebbene la loro conversione sia molto difficile, se essi volessero arrendersi alla grazia che viene loro concessa per correggersi, giungerebbero a potersi tirare fuori da questo abisso.

La prima cosa che dovrebbero fare, sarebbe fuggire gli altri ubriachi e i cabarets; questa condizione è assolutamente necessaria per ritornare al buon Dio.
La seconda cosa, sarebbe quella di ricorrere alla preghiera, per toccare il cuore di Dio, e riguadagnare la sua amicizia.
La terza cosa, sarebbe quella di avere un grande rispetto per le cose sante, di non disprezzare mai nulla di ciò che si riferisce alla religione.
La quarta cosa, fare ricorso ai sacramenti, nei quali tante grazie ci sono accordate: sono i mezzi di cui si sono serviti tutti i peccatori per ritornare al buon Dio, e valgono sia per gli ubriachi che per tutti gli altri.

Sant'Agostino racconta che la sua stessa madre gli aveva detto che lei aveva rischiato di dannarsi, fecendo la golosetta di vino.
Spiava il momento in cui nessuno la vedeva, e allora cercava di soddisfarsi.
Ma una serva che l'aveva vista qualche volta, e che un giorno si era sentita offesa da lei, le rinfacciò di essere una piccola ubriaca.
Questa parola le rimase così inpressa nel cuore, e ne provò una tale confusione, che, pentendosene, pianse a lungo.
Andò subito a confessarsi per questa colpa, che non aveva mai osato rivelare prima al confessore, tanto le sembrava infame e vergognoso questo peccato, sebbene avesse appena dodici anni.
Ella se ne corresse così bene, con la grazia del buon Dio, che non vi ricadde più per tutta la vita, e visse in una maniera così esemplare, che poi divenne una grande santa.
Sappiamo poi che il buon Dio, per farle espiare il suo peccato, permise che sposasse un uomo ubriaco e brutale, che le fece subire mille maltrattamenti.

Suo figlio Agostino, fino all'età di trenta due anni, non fu meno ubriaco di suo padre.
Santa Monica, riconoscendo che il buon Dio permetteva ciò, affinchè ella soddisfacesse alla sua giustizia, sopportò così bene questa prova, che non la si sentì mai lamentarsi minimamente con nessuno.
Ella ebbe infine la felicità di vedere suo marito e suo figlio Agostino convertirsi.
Vedete, fratelli miei, come il buon Dio tenda la mano e doni la sua grazia a coloro che gliela domandano con un grande desiderio di uscire dal peccato, per vivere solo per Lui?

Ma un altro esempio vi farà piacere, perchè vi mostrerà che gli ubriachi, sebbene molto miserabili, possono ancora salvarsi, e che coloro che non si convertono dalle loro cattive abitudini, e credono che non potranno correggersi, si ingannano molto.
E' raro trovare un racconto che si adatti così bene al nostro assunto.

Presso un villaggio vicino a Nîmes, vi era un contadino di nome Giovanni.
Fin dalla sua giovinezza, si era talmente arreso all'ubriachezza, che era quasi sempre immerso nel vino, e passava generalmente come il più grande ubriaco del paese.
Il curato della parrocchia, avendo fatto venire dei missionari per istruire i suoi parrocchiani, pensò che avrebbe dovuto far conoscere loro questo peccatore, affinchè non li ingannasse.
Questa saggia precauzione del pastore, sembrò dapprima inutile, poichè, non soltanto il contadino non si sarebbe presentato a nessun missionario, ma neppure assisteva agli esercizi della missione.
Due giorni prima che fosse finita, fu del parere di andare ad ascoltare un sermone sul figliol prodigo, o sulla Misericordia di Dio, che fu predicato da Mons. Castel, sacerdote di Nimes, uno dei missionari con maggiore talento e zelo.

Questo discorso, scritto con una nobile semplicità, ma pronunciato con molta forza e unzione, fece la più viva impressione sul novello ascoltatore.
Egli riconobbe il suo ritratto, nella descrizione che quello fece dei disordini del figlio prodigo; vide nella bontà di quel padre una immagine toccante di quella di Dio, e, pieno, all'improvviso, di pentimento e di fiducia, disse: «Come il figliol prodigo del Vangelo, anch'io uscirò dalla maledetta abitudine in cui sono marcito da tanto tempo; andrò a gettarmi ai piedi di questo Dio di Misericordia, che mi è stato presentato come il più tenero di tutti i padri».

La sua risoluzione non fu meno efficace che pronta.
L'indomani va a trovare quello stesso Mons. Castel, di cui aveva ascoltato il sermone, e avvicinatolo gli disse, con gli occhi pieni di lacrime: «Tu vedi qui il più grande peccatore che vi sia sulla faccia della terra. Tu ha detto che la Misericordia di Dio è più grande dei nostri peccati; per attirare su di me i suoi effetti salutari, vengo a pregarti di ascoltare la mia confessione. Ah! non me la rifiutare, padre mio, ti scongiuro, altrimenti mi faresti cadere nella disperazione.
Non posso più sostenere il peso dei miei rimorsi, e non starò tranquillo fino a che non mi avrai riconciliato col buon Dio che ho tanto offeso».
Il missionario fu tanto più colpito e sorpreso da questo discorso, per il fatto che riconobbe nel suo interlocutore, il famoso ubriacone di cui il curato gli aveva parlato.
Si intenerì verso di lui, lo abbracciò teneramente, e gli dimostrò gli stessi sentimenti che il padre del figlio prodigo aveva testimoniato a suo figlio; ma, nello stesso tempo, gli fece intendere che era troopo tardi, che era quasi alla vigilia della sua partenza, e che temeva di non avere il tempo di accordargli ciò che domandava (vuol dire che per appurare la sincerità del suo pentimento, avrebbe avuto bisogno di più tempo; una volta, infatti, non era facile ottenere l'assoluzione; fu certamente un'esagerazione da parte di quel prete, come se il padre della parabola, avesse detto al figlio di tornare un altro giorno, per poter esaminare meglio la serietà del suo proposito...cosa parecchio assurda; non meno assurda, però, è la facilità estrema con la quale oggi si assolve; n.d.a).
«Ah! se è così, gli rispose il contadino singhiozzando, è fatta! sono perduto.
Se mi conoscerai meglio, forse avrai pietà di me. Fammi dunque la grazia di ascoltarmi, e che io abbia, almeno, la consolazione di confessarmi» (e cioè: anche se non mi darai l'assoluzione, almeno lasciami sfogare; n.d.a.).
Il missionario si arrese al suo desiderio, e il contadino fece la sua confessione come meglio potè.
Egli accompagnò l'accusa dei suoi peccati con tante lacrime e con un vivo pentimento; resistette con molto coraggio ai consigli prudenti che gli si dava, di non rinunciare del tutto al vino, a causa della sua salute, ma di usarlo solo più raramente e più sobriamente. Anzi, protestò con forza che niente più lo avrebbe fatto riconciliare col suo crudele nemico (il vino), che aveva dato la morte alla sua anima, e che ne avrebbe provato orrore per tutta la vita.
Allora il missionario, vedendolo così ben disposto, gli concesse l'assoluzione, raccomandandogli fortemente di perseverare nei buoni propositi che il buon Dio gli aveva ispirato.
Quel gran peccatore glielo promise, e il seguito dimostrerà che il suo pentimento era stato sincero.

Cinque o sei mesi dopo quella missione, una delle sorelle di Giovanni fece un viaggio a Nimes, e incontrò il missionario, il quale fu curioso di sapere se il suo famoso ubriaco, Giovanni, avesse perseverato.
«Tu vieni certamente dal tuo villaggio, le disse, potresti darmi notizie del bravo Giovanni?».
«Ah! signore, gli rispose la donna, noi ti siamo molto obbligati; tu ne hai fatto un santo. Dopo che hai lasciato il nostro paese, non soltanto i suoi vecchi amici non lo hanno più trascinato nei cabarets, ma non ci è stato possibile fargli gustare più una goccia di vino».
«No, no, ci dice quando gliene parliamo, è stato il mio più grande nemico, non mi riconcilierò mai più con lui, non parlatemene più».
Il missionario non potè ascoltare queste parole, senza versare lacrime (a quei tempi le lacrime si sprecavano...; n.d.a), tanta era la sua gioia nel sapere che quel peccatore convertito aveva avuto la fortuna di perseverare.
Tutte le volte che raccontava questo episodio, era solito aggiungere che, dopo una tale conversione, non bisognava più disperare per i più grandi peccatori, qualora il peccatore voglia corrispondere alla grazia che il buon Dio accorda a tutti per salvarli.

Vedremo ora, fratelli miei, che i peccatori, ossia gli ubriachi, non hanno alcun pretesto che giustifichi i loro eccessi.
Sant'Agostino ci dice che, sebbene l'ubriachezza sia condannata da tutti, tuttavia ognuno crede di potersene scusare.

Se chiedete a un uomo perchè abbia fatto ricorso al vino, vi risponderà, senza turbarsi, che un amico è venuto a trovarlo, che sono andati al cabaret e che, se hanno bevuto troppo, è stato solo per reciproca compiacenza.

E' stato per compiacenza! ma, o quest'amico è un buon cristiano, o è un empio.
Se è un buon cristiano, lo avrete fortemente scandalizzato, spingendolo a bere, e passando il vostro tempo nel cabaret. Magari era durante la santa Messa o durante i vespri!...

Eh! chè, fratello mio, siete entrati come due persone ragionevoli nel cabaret, e ne siete usciti meno ragionevoli delle bestie brute!
Credimi, amico mio, se tu avessi trattenuto il tuo amico a casa tua un momento, e se, non avendo affatto vino, gli avessi offerto dell'acqua, gli avresti fatto molto più piacere, che facendogli vendere l'anima al demonio.

Se poi quest'amico è un cattivo cristiano o un empio, senza religione, non saresti dovuto andare con lui, lo avresti dovuto fuggire.

«Ma, mi dirai, se non lo facessi bere, e se non lo portassi al cabaret, egli mi vorrebbe del male, e mi tratterebbe da avaro».
Amico mio, è una grande fortuna essere disprezzato dai malvagi, perchè ciò dimostra che non gli assomigli affatto; piuttosto devi servirgli di esempio.

Sant'Agostino ci dice: «Eh! chè? miserabile, ti sei rifugiato nel vino per essere l'amico di un ubriaco e di un libertino, mentre diventi il nemico di Dio stesso? Oh! sciagurato! quale indegna preferenza!».

Vedete dunque, fratelli miei, che non avete nulla che possa scusarvi: vi rifugiate nel vino perchè la vostra golosità vi ci trascina.

Alcuni vi dicono che essi vanno al cabaret per bere insieme agli altri, ma che, anche se bevono copiosamente, il vino non turba affatto la loro ragione.
Amico mio, ti sbagli. Sebbene il vino non ti turbi, dal momento in cui ne bevi più del necessario, diventi colpevole, verso te stesso, come se avessi perso la ragione; c'è solo un piccolo scandalo in meno.
Inoltre, agli occhi del pubblico, tu sei additato comunque, come un pilastro del cabaret.
Ascolta ciò che dice il profeta Isaia: «Disgraziati voi, che avete la testa abbastanza forte da bere con eccesso, e che vi gloriate di far ubriacare gli altri; è come se vi ubriacaste voi stessi!».

Ecco che altri ancora vi dicono: «E' per concludere un affare, per dare o per ricevere denaro».
Ahimé! amico mio, non vorrei dimostrarti come coloro che si rifugiano nel vino, facciano affari di traverso. Gli si fa firmare una bolletta, senza che abbiano il denaro, oppure, se lo hanno ricevuto, si cerca ben presto di riprenderglielo.
D'altronde, come potreste conoscere ciò che fate? Voi non conoscete nemmeno voi stessi.

Quale conclusione dovremmo trarre da tutto ciò, fratelli miei?
Ecco. Dobbiamo rientrare seriamente in noi stessi, come lo stesso Signore ci dice per bocca del profeta Gioele: «Svegliatevi, ci dice, ubriachi, perchè vi attende ogni sorta di disgrazie. Piangete e gridate, alla vista dei castighi che la giusta collera di Dio vi prepara nell'inferno, a causa delle vostre ubriachezze».
(Gioele 1,5).

Svegliatevi, disgraziati, al clamore di questa povera moglie che avete maltrattato, dopo aver mangiato il suo pane; svegliatevi, ubriachi, al grido di questi poveri figli che avete ridotto a mendicare, o che avete messo nella situazione di morire di fame!

Ascolta, ubriacone infame, quel vicino che ti richiede il denaro che ti ha prestato, e che ti sei mangiato nei bagordi e nei cabarets. Ne ha bisogno per nutrire sua moglie e i suoi figli, che piangono la miseria che la tua ubriachezza ha provocato loro.

Ah! peccatore disgraziato! che cosa hai promesso al tuo Dio, quando ti ha accolto come figlio? Gli hai promesso di servirlo, di non cader più in certi disordini.
Ma che hai fatto, nella tua ubriachezza?
Ahimè! hai rivelato i segreti che vi hanno confidato, e che non avresti mai dovuto rivelare.
Hai commesso un numero infinito di turpitudini, che suscitano orrore a tutti.

Che cosa hai fatto, abbandonandoti all'ubriachezza? Hai rovinato la tua reputazione, la tua fortuna, la tua salute, e hai reso la tua famiglia così miserabile che, forse, per poter campare, si abbandonerà a ogni sorta di disordini morali.

Sei diventato tu stesso un uomo da nulla, la favola e l'obbrobrio dei tuoi vicini, che ora ti guardano solo con disprezzo e orrore.

Che hai fatto di quell'anima tanto bella, che soltanto Dio la supera in bellezza?
L'hai resa tutta carnale, tutta sfigurata, a causa dei tuoi eccessi.

Cos'hai perduto, con la tua ubriachezza? Ahimè! amico mio, hai perduto il più grande di tutti i beni, hai perduto il Cielo, una felicità eterna, dei beni infiniti!
Hai perso la tua povera anima, che era stata riscattata col Sangue adorabile di Gesù Cristo.

Ah! diciamo ancora: hai perduto il tuo Dio, questo tenero Salvatore, che è vissuto soltanto per renderti felice per tutta l'eternità!
Oh! quale perdita! Chi potrebbe comprenderla e rimanere insensibile?
Quale disgrazia è paragonabile a questa?

Ma poi, che cosa ti sei meritato?
Ahimè! nient'altro che l'inferno, per esservi bruciato per tutta l'eternità.
Ti sei meritato, amico mio, di essere offerto sulla tavola dei demoni, dove andrai a nutrire e a intrattenere il furore che essi hanno verso Gesù Cristo stesso!
Stai per diventare la vittima sulla quale la giusta collera di Dio si “appesantirà”, per secoli senza fine!...

Converrete con me che giammai, forse, avreste potuto farvi un'idea della gravità della vostra ubriachezza, dello stato in cui essa riduce chi la commette, dei mali che gli attira durante la sua vita, e dei castighi che gli prepara per l'eternità.

Chi non sarebbe toccato da tanti mali, fratelli miei?
Piangete, ubriaconi sciagurati, le vostre sregolatezze e tutti i cattivi esempi che avete dato, al posto di ridere, come fate!
Alzate grida verso il Cielo, per domandare misericordia, per vedere se il Signore voglia ancora avere pietà di voi.

Preghiamo il buon Dio che ci preservi da questo maledetto peccato, che sembra metterci quasi nell'impossibilità di poterci salvare.
Per questo, amiamo Dio solo.
E' la felicità che vi auguro.