Il primo comandamento

12ª Domenica dopo Pentecoste
Il primo Comandamento
(Primo sermone)
«Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore»
(Deuteronomio 6,5).

Perchè, fratelli miei, il Signore ce ne fa un comandamento, del fatto di amarlo con tutto il nostro cuore: e cioè, senza divisione, nella maniera in cui Egli stesso ci ama; con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze, promettendoci una ricompensa eterna, se saremo fedeli in ciò, e una punizione eterna, se vi mancheremo?

Per due ragioni:
1- per mostrarci la grandezza del suo Amore;
2- perchè noi non potremo essere felici se non amandolo, e, in sostanza, questo amore non lo si trova che nel compimento dei suoi Comandamenti.

Sì, fratelli miei, se tanti mali ci opprimono in questo mondo, ciò deriva dal fatto che noi violiamo i comandamenti di Dio; infatti Egli stesso ci dice:
«Se osserverete fedelmente i miei comandamenti, Io vi benedirò in ogni modo; ma se li trasgredirete, voi sarete maledetti in tutto ciò che farete» (Deuteronomio 28).

Perciò, fratelli miei, se vogliamo essere felici in questo mondo, almeno fino a che è possibile esserlo, non abbiamo altro mezzo, se non quello di osservare fedelmente i comandamenti di Dio; e ci accorgeremo che, nella misura in cui ci discosteremo dal cammino che i comandamenti di Dio ci hanno tracciato, noi saremo sempre infelici, nell’anima e nel corpo, in questo mondo e nell’altro.

Io dunque vi mostrerò, fratelli miei, che la nostra felicità dipende (lett. “è attaccata”: “attaché”; n.d.a.) dalla nostra fedeltà nell’osservare i comandamenti che il buon Dio ci ha dato.

Se apriamo i Libri santi, fratelli miei, vi troveremo che tutti coloro che si fanno un dovere di osservare ciò che i comandamenti di Dio prescrivevano loro, sono sempre stati felici, poichè è certissimo che il buon Dio non abbandonerà mai colui che si fa un dovere di osservare tutto ciò che Egli comanda.

Il nostro primo padre, Adamo, ce ne offre un bell’esempio.
Fino a che fu fedele nell’osservare gli ordini del Signore, egli fu felice sotto ogni punto di vista: il suo corpo, la sua anima, il suo spirito, e tutti i suoi sensi, non avevano nessun’altra inclinazione se non verso Dio; gli stessi angeli scendevano dal cielo per tenergli compagnia.
Così sarebbe continuata la felicità dei nostri progenitori, se fossero rimasti fedeli ai loro doveri; ma tale momento, mille volte felice, non durò a lungo.

Il demonio, invidioso di una tale felicità, li avrebbe ben presto portati a perdersi, e li avrebbe privati di tutti quei beni, che sarebbero dovuti durare per l’eternità.

Dal momento in cui ebbero la disgrazia di trasgredire i comandamenti del Signore, tutto andò di traverso, per loro: i dispiaceri, le malattie, la paura della morte, del giudizio, e di un’altra vita infelice, presero il posto della loro precedente felicità; la loro vita ormai non fu altro che una vita di lacrime e di dolori.

Il Signore disse a Mosè: «Di’ al mio popolo che, se sarà fedele nell’osservare i miei comandamenti, lo colmerò di ogni sorta di benedizioni; ma se oserà trasgredirli, lo sommergerò con ogni sorta di mali» (Deuteronomio 28).

Il Signore disse ad Abramo: «Poichè sei stato fedele nell’osservare i miei comandamenti, Io ti benedirò in tutto; moltiplicherò i tuoi figli come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare: Benedirò tutti coloro che ti benediranno, e maledirò tutti coloro che ti malediranno; dalla tua stirpe nascerà il Salvatore del mondo» (Genesi 22,16-18; sempre ricordandoci che il curato, molto spesso, opera una rielaborazione sapienziale della Parola, frutto della sua amorosa “ruminatio”; n.d.a.).

Egli fece dire al suo popolo, quando era pronto per entrare nella Terra promessa: «I popoli che abitano questa terra, hanno commesso dei grandi peccati; perciò voglio scacciarli e mettervi al loro posto. Ma state bene attenti a non violare i miei comandamenti. Se sarete fedeli nell’osservarli, Io vi benedirò in tutto e per tutto.
Allorchè sarete nei vostri campi, nelle vostre città e nelle vostre case, Io benedirò i vostri figli, i quali vi ameranno, vi rispetteranno, vi ubbidiranno, e vi daranno ogni specie di consolazione. Benedirò i vostri frutti e il vostro bestiame. Comanderò al cielo di donarvi la pioggia al tempo opportuno, tanto quanto basta per bagnare le vostre terre e i vostri prati, e riuscirete in ogni cosa» (Deuteronomio 8).

In un altro punto dice: «Se osserverete fedelmente i miei comandamenti, Io veglierò senza sosta sulla vostra sussistenza; abiterete senza timore nelle vostre case; impedirò che le bestie feroci vi nuocciano, dormirete tranquilli: nulla potrà turbarvi.
Io sarò per sempre in mezzo a voi. Camminerò con voi. Io sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo» (Levitico 26,3-12).

Più in là dirà a Mosè: «Di’ al mio popolo, che se osserverà le mie leggi, Io lo libererò da tutti i mali che lo opprimono».

E lo Spirito Santo stesso ci dice che «che colui che ha la fortuna di osservare i comandamenti del Signore, è più felice che se possedesse tutte le ricchezze della terra» (Salmo 119,14).

Ditemi, avreste mai pensato che il buon Dio avesse tanto a cuore di farci osservare i suoi comandamenti, e che ci promettesse tanti beni, se noi fossimo così fortunati da osservarli? (si noti l’espressione “fortuna” e “fortunati”, che ricorre spesso nelle omelie, in contesti analoghi, come a dire che, secondo il curato, la migliore fortuna che possa capitarci non è quella di vincere all’enalotto, ma essere convinti profondamente di dover osservare i comandamenti di Dio; n.d.a.).

Converrete con me che noi dovremmo far consistere tutta la nostra felicità nell’osservare fedelmente i suoi comandamenti.

Per meglio convincervi, fratelli miei, che dal momento in cui trasgrediamo i comandamenti di Dio, noi non possiamo essere che infelici, guardate ciò che avvenne a Davide.

Fino a che egli fu fedele nel camminare nel sentiero che i comandamenti di Dio gli avevano tracciato, tutto, per lui, andava per il meglio: era amato, rispettato, e ascoltato da coloro che gli erano vicini.

Ma, dal preciso istante in cui volle smettere di osservare i comandamenti di Dio, subito la sua felicità finì, e ogni sorta di mali gli cadde addosso.

I turbamenti, i rimorsi della coscienza, presero il posto di quella pace e di quella calma di cui godeva: le lacrime e il dolore furono il suo pane quotidiano.
Un certo giorno, nel quale gemeva molto sui suoi peccati, gli vennero a dire che suo figlio Ammon era stato pugnalato nell’ubriachezza dal fratello Absalom (2 Samuele 13,28).

Absalom cercò addirittura di distruggere suo padre, di togliergli la vita, per regnare al suo posto. Davide fu costretto ad andare a nascondersi nella foresta, per evitare la morte (2 Samuele 15).
La peste, in seguito, gli tolse un numero quasi infinito di sudditi (2 Samuele 24: ma, come al solito, il curato esagera un po’ nei numeri; n.d.a.).

Se procedete oltre, incontrerete Salomone: fino a che egli fu fedele nell’osservare i comandamenti di Dio, egli era diventato un miracolo vivente per il mondo; la sua reputazione si estendeva sino all’estremità della terra, dal momento che la regina di Saba venne da tanto lontano, per essere testimone delle meraviglie che il Signore operava in lui (1 Re 10).

Ma poi vediamo che, da quando ebbe la disgrazia di non seguire più i comandamenti di Dio, per lui tutto andò male (fu lo sfacelo, suo personale, e dell’intero Regno d’Israele; n.d.a.),

Dopo tante prove, tratte dalla Sacra Scrittura, voi converrete con me che tutti i nostri mali provengono unicamente dal fatto che non osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio, e che, se vogliamo sperare una qualche felicità e una qualche consolazione, in questo mondo - almeno per quanto sia possibile averne, dal momento che questo mondo non è altro che un tessuto di mali e di dolori - il solo mezzo per procurarci questi beni, è quello di fare tutto ciò che possiamo, per piacere a Dio, mettendo in pratica quello che ci ordina con i suoi comandamenti.
(Difficile, o impossibile, immaginare un discorso più convincente di quello del santo curato, a colpi di Bibbia, in ordine all’equazione non relativa, come quella di Einstein, ma quanto mai “assoluta”: felicità = osservanza dei comandamenti.
Essa si applica sia a livello individuale che sociale: in entrambi i casi la verifica migliore è quella dell’esperienza, che è sotto gli occhi di tutti.
E non è affatto un caso che, in entrambi gli esempi biblici che il curato adduce, la inosservanza per eccellenza, ricade sempre nel campo della licenza sessuale, che trionfa indisturbata e omaggiata, ai nostri giorni; n.d.a.).

Ma se passiamo dall’Antico Testamento al Nuovo, le promesse non sono meno grandi.
Al contrario, vediamo che Gesù Cristo le promette tutte nel Cielo, poichè nulla di ciò che è creato è capace di accontentare il cuore di un cristiano, che è fatto solo per il Cielo, e Dio solo lo può accontentare (Agostino, Confessioni I,1).

Gesù Cristo ci esorta fortemente a disprezzare le cose di questo mondo, per non attaccarci che alle cose del Cielo, che non hanno mai fine.

Leggiamo nel Vangelo che Gesù Cristo, trovandosi un giorno con delle persone che sembravano pensare solo ai bisogni del corpo, disse loro: «Non siate così in pena per ciò che mangerete nè per ciò che indosserete».

E per far comprendere loro che tutto ciò che riguarda il corpo è cosa di poco conto: «Guardate, dice loro, i gigli del campo, essi non filano nè si prendono cura di se stessi; guardate come il vostro Padre celeste si preoccupa di vestirli; poichè vi assicuro che Salomone, con tutta la sua ricchezza e la sua forza, non si è mai vestito come uno di loro. Guardate anche gli uccelli del cielo, che non seminano nè mietono, nè rinchiudono nulla nei loro granai, vedete come il vostro Padre celeste si preoccupa di nutrirli. Gente di poca fede, non valete voi più di loro?... Cercate prima di ogni altra cosa, il Regno dei Cieli, cioè, osservate fedelmente i miei comandamenti, e tutto il resto vi sarà dato in abbondanza» (Matteo 6,25-33).

Cosa vogliamo dire con ciò, fratelli miei?
Che a un cristiano che non cerca altro che di piacere a Dio e salvare la sua anima, non mancherà mai quello che è necessario ai bisogni del corpo.

«Ma, mi direte voi forse, se non abbiamo nulla, non ci porta niente nessuno».

Anzitutto vi dirò che tutto ciò che possediamo, lo abbiamo dalla bontà di Dio, e niente da noi stessi.
Ma, ditemi, fratelli miei, perchè volete che il buon Dio faccia dei miracoli per noi?
Forse perchè ci sono alcuni che ardiscono spingere la loro incredulità e la loro empietà, fino al punto da voler credere che il buon Dio non esista affatto, ossia, che non c’è alcun Dio? (sottile vena sarcastica del nostro curato; n.d.a.).

Oppure, perchè altri, meno empi, ma non meno colpevoli, sostengono che il buon Dio non fa alcuna attenzione a ciò che accade sulla terra, che il buon Dio non si preoccupa di certe cose?

Oppure, infine, perchè altri ancora non vogliono ammettere che questa grande Provvidenza, non dipende dall’osservanza dei comandamenti di Dio, e, di conseguenza, contano solo sul loro lavoro e sulle loro cure?
E questo mi sarebbe molto facile provarlo, per il semplice fatto che lavorate di domenica, cosa che dimostra che voi non contate affatto su Dio, ma soltanto su voi stessi e sul vostro lavoro.
Ci sono poi quelli che, pur credendo a questa grande Provvidenza, tuttavia le frappongono una barriera impenetrabile, a causa dei loro peccati.

Volete, fratelli miei, sperimentare la grandezza della bontà di Dio per le sue creature?
Fatevi un dovere di osservare tutto ciò che i comandamenti vi comandano, e sarete meravigliati nel vedere quanto il buon Dio si prenda cura di coloro che cercano solo di piacergli.

Se volete averne le prove, fratelli miei, aprite i Libri santi, e ne sarete perfettamente persuasi.

Leggiamo nella Sacra Scrittura che il profeta Elia, mentre fuggiva la persecuzione della regina Gezabele, andò a nascondersi in un bosco.
Trovandosi lì, sprovvisto di ogni aiuto umano, pensate che il Signore lo lascerà morire di miseria? No, certamente, fratelli miei:
Il Signore, dall’alto dei cieli, non cessa di tenere gli occhi fissi sul suo fedele servitore. Subito gli manda un angelo per consolarlo, e per portargli tutto quello che serve per il suo nutrimento (1 Re 19).

Guardate la cura che il Signore si prende per nutrire la vedova di Sarepta. Egli dice al suo profeta: «Va’ a trovare quella buona vedova, che mi serve, e osserva i miei comandamenti con fedeltà; tu dovrai moltiplicare la sua farina, per paura che ne soffra» (cfr. 1 Re 17).

Guardate come Egli comandi a un altro profeta, Abacuc, di portare da mangiare ai tre fanciulli che si trovavano nella fornace di Babilonia (Daniele 14, 33-34: ma non si trattava dei tre fanciulli, ma dello stesso Daniele, nella fossa dei leoni; n.d.a.).

(Da notare che il santo curato, durante la sua vita fatta di stenti economici, aveva sperimentato ampiamente, in varie occasioni, la Provvidenza miracolosa di Dio, come nel caso della moltiplicazione del grano, riportato dai biografi più attendibili e testimoniato dai contemporanei, nel primo processo diocesano; inoltre, il santo, potè maneggiare una gran quantità di denaro, offerto dai benefattori, ma che impiegava esclusivamente per le sue opere di assistenza ai bisognosi, mentre lui si accontentava del solito piatto di patate lesse, spesso deteriorate; n.d.a.).

Se passate dalla Legge antica alla nuova, le meraviglie che Dio opera per coloro che si prendono cura di osservare i suoi comandamenti, non sono meno grandi.
Guardate come il buon Dio nutra migliaia di persone con cinque pani e due pesci (Matteo 14,19); e questo non è difficile da capire, perchè cercavano anzitutto il Regno dei Cieli e la salvezza delle loro anime, seguendo Gesù Cristo.

Guardate come Egli si prende cura di nutrire un san Paolo eremita, per quarant’anni, per mezzo del servizio (lett. “ministere” = “ministero”; n.d.a.) di un corvo: prova tangibile che Dio non perde mai di vista coloro che l’amano, per fornire loro tutto ciò di cui hanno bisogno.

Allorchè sant’Antonio andò a trovare san Paolo (primo eremita), il buon Dio gli inviò un doppio pasto: O mio Dio! quanto ami coloro che ti amano! come temi che essi possano soffrire!

Ditemi, fratelli miei, chi comandò a quel cane di andare a portare ogni giorno una piccola provvista a san Rocco, in un bosco?

Chi ordinò a quella cerva di andare a donare ogni giorno il suo latte al figlio di Genoveffa di Brabant, nel deserto?
Non fu forse il buon Dio, fratelli miei? E perchè, fratelli miei, il buon Dio si preoccupa di nutrire tutti questi santi, se non perchè erano fedeli nell’osservare tutti i comandamenti che dava loro?

Sì, fratelli miei, possiamo dire che i santi facevano consistere tutta la loro felicità nell’osservare i comandamenti di Dio, e che avrebbero preferito soffrire ogni sorta di tormento, piuttosto che violarli.

Potremmo dire anche che tutti i martiri non sono diventati martiri se non perchè non hanno voluto violare i comandamenti di Dio.

Infatti, fratelli miei, domandate a santa Regina, questa giovane vergine, perchè abbia sopportato tanti tormenti, cosa che le fu ancora più dolorosa, poichè fu suo padre il suo carnefice!
Egli la fece appendere per i capelli a un albero, e la fece percuotere con verghe, fino a che il suo povero piccolo corpo innocente divenne tutto una piaga.

Dopo queste crudeltà, che fecero gemere perfino i pagani che ne furono testimoni, la fece condurre in prigione, nella speranza che avrebbe fatto ciò che le comandava.
Vedendola incrollabile, la fece condurre presso un albero, ordinando che la si appendesse, come la volta precedente, per i capelli, e la fece scorticare viva.

Quando la pelle fu separata dal corpo, la fece gettare in una caldaia d’olio bollente, dove la vide impietosamente bruciare.

Se mi chiedete, fratelli miei, perchè ella sopportasse tante crudeltà, ecco, ve lo dico.
Fu perchè ella non volle trasgredire il sesto comandamento di Dio, che vieta ogni impurità.

Perchè la casta Susanna non volle acconsentire alle voglie di quei due infami anziani, e preferì piuttosto la morte? (Daniele 13).
Non fu forse per la medesima ragione?

Quale fu la causa per cui il casto Giuseppe fu denigrato, calunniato presso Putifar, suo padrone, e condotto in prigione? Non fu ancora per la stessa ragione?

Perchè san Lorenzo, si lasciò stendere su un braciere di carboni ardenti?
Non fu forse perchè non volle trasgredire il primo comandamento di Dio, che ci ordina di non adorare altro Dio e di amarlo più di noi stessi?

Sì, fratelli miei, se percorriamo un po’ i libri in cui sono raccolte le gesta dei santi, vi troveremo esempi ammirevoli e scioccanti, della loro fedeltà nell’osservare i comandamenti di Dio, e vedremo che essi hanno preferito soffrire, tutto quello che i carnefici abbiano potuto inventarsi, piuttosto che venir meno a quei comandamenti.

(Osservare i comandamenti è il perfetto equivalente dell’amore di Dio. Tale equazione, prima che dal curato e dall’esperienza di tutti i santi, è stabilita chiaramente dallo stesso Gesù:
«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Giovanni 14,21).
«Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato» (Giovanni 14,24).

Ma c’è un’altra equazione, non meno importante e convalidata dall’intera vicenda di Gesù di Nazaret, dall’esperienza dei santi e dagli insegnamenti degli scrittori spirituali:
L’osservanza dei comandamenti equivale, quasi sempre, all’accettazione di piccole, grandi o enormi, sofferenze e dolori: è la croce che Gesù ha preannunciato ai discepoli fedeli (Matteo 16,24; ecc.).

Tutte le altre teorie pastorali, ammantate di scelta preferenziale dei poveri, di chiesa in uscita, di missionarietà dell’attrazione e non del proselitismo, se non si mette bene in chiaro, anzitutto, questa condizione essenziale del cristiano, si riducono a pure fantasie farisaiche, per piccoli borghesi benestanti, protetti dalle loro sicurezze terrene.
Non basta scegliere un alloggio più modesto, ad esempio, se poi si gode di tutti i conforts possibili e immaginabili: si vada, piuttosto, ad abitare, da soli, in una baracca, o senza un tetto sulla testa, come facevano gli apostoli...: ogni riferimento, forse, è del tutto casuale).

Leggiamo nella storia dei martiri del Giappone, che l’imperatore fece arrestare, in un medesimo luogo, ventiquattro cristiani, ai quali si fece soffrire tutto ciò che la rabbia dei pagani poteva ispirare loro.

I martiri si dicevano gli uni gli altri: «Stiamo molto attenti a non violare i comandamenti di Dio, per obbedire a quelli dell’imperatore; facciamoci coraggio, il Cielo vale bene qualche sofferenza, che dura solo qualche momento.
Nutriamo ferma speranza, e il buon Dio, per il quale vogliamo soffrire, non ci abbandonerà».

Allorchè furono condotti nel posto in cui dovevano essere interrogati, colui che ve li aveva condotti, facendo l’appello, e credendo che ne mancasse qualcuno, gridò a gran voce:
«Matteo, dov’è Matteo?».

Un soldato, che da molto tempo, desiderava farsi riconoscere come cristiano, gridò: «Eccomi, disse, d’altronde che importa la persona? Anch’io mi chiamo Matteo, e sono cristiano come lui» (sembra di risentire quel grido “Je suis Charlie”, ma qui si tratta di una cosa seria).

Il giudice, tutto infuriato, gli chiese se parlasse sul serio.
«Sì, rispose il soldato, è da lungo tempo che professo la religione cristiana,e spero di non abbandonarla mai; desidero solo manifestarla anche all’esterno».

Subito, il giudice lo fece mettere insieme agli altri martiri.
Quello ne provò tanto piacere, che ne morì di gioia, prima di morire tra i tormenti.

Nel numero di costoro, vi era anche un fanciullo di dieci anni.
Il giudice, vedendolo così giovane, non volle, per qualche tempo, metterlo nella lista di coloro che dovevano morire per Gesù Cristo.
Il fanciullo ne rimase sconsolato, vedendosi privato di questa felicità, e si mise a protestare, ad alta voce, che giammai sarebbe cambiato, e che sarebbe morto in quella religione; alla fine, tanto fece, che costrinse, per così dire, il giudice, a metterlo nel numero dei martiri.
Quello ne ebbe una tale gioia, che sembrava non potersi più contenere: voleva essere sempre il primo, rispondere sempre a nome di tutti gli altri; avrebbe voluto possedere il cuore di tutti gli uomini, per sacrificarli tutti a Gesù Cristo.

Un certo signore pagano, avendo appreso che quel fanciullo era destinato a morire con gli altri cristiani, fu colto da compassione.
Va lui stesso a trovare l’imperatore, per supplicarlo di avere pietà di quel fanciullo, dicendo che non sapeva quello che faceva.
Il fanciullo, che lo aveva udito, si voltò contro di lui, dicendo: «Signore, conservate per voi stesso la vostra compassione; pensate, piuttosto, a farvi battezzare e a fare penitenza, altrimenti andrete a bruciare insieme ai demoni».
Allora quel signore, vedendolo così risoluto a morire, lo lasciò stare.

Il fanciullo, essendo presente, quando fu letta la sentenza, che prevedeva che fossero tagliati loro il naso e le orecchie, e che fossero portati in giro su dei carri, per tutta la città, per suscitare maggiore orrore verso la religione cristiana, e affinchè i pagani li sommergessero di ingiurie, il povero piccolo ne provò una tale gioia, che sembrava che gli fosse annunciata l’eredità di un regno intero.

Gli stessi pagani erano ammirati che un fanciullo così giovane, avesse un tale coraggio, e provasse una tale gioia di morire per il proprio Dio.

Essendo giunti i carnefici, per eseguire gli ordini dell’imperatore, tutti quei santi martiri andarono a presentarsi al loro carnefice per farsi tagliare, con tanta tranquillità e con tanta gioia, come se dovessero essere condotti in una sala per le feste.
Si lasciarono tagliare il naso e le orecchie, con la stessa tranquillità, che se gli avessero tagliato un pezzetto del loro abito.

I poveri corpi erano tutti coperti di sangue, cosa che suscitò orrore negli stessi pagani che ne furono testimoni.
Li si sentì gridare: «O quale crudeltà! e che ingiustizia, fare soffrire tanto delle persone che non hanno fatto nulla di male! Guardate, si dicevano gli uni gli altri, guardate quale coraggio dona loro la religione che professano».

Tutte le volte che li si interrogava, quelli non rispondevano nulla, se non che erano cristiani, e che sapevano soffrire e morire, ma che non avrebbero mai violato i comandamenti del loro Dio, poichè facevano consistere ogni loro felicità nel rimanervi fedeli.

Ahimè! questi poveri martiri!
Dopo che li si ebbe trasportati sui carri, attraverso la città, i loro corpi erano tutti ricoperti di sangue, le pietre erano tutte insanguinate e la terra era diventata rossa, per il sangue che colava in abbondanza dalle loro piaghe.

Poichè la loro sentenza prevedeva che sarebbero dovuti morire su una croce, colui che li aveva condotti la prima volta, rimase alquanto sconvolto per la presenza di quel fanciullo di dieci anni.
Allora gli si avvicinò e gli disse: «Mio caro fanciullo, tu sei troppo giovane, è davvero spiacevole morire ad un’età così poco avanzata; se tu vuoi, mi incarico di ottenere la grazia per te presso l’imperatore, e inoltre, anche una bella ricompensa».

Il fanciullo, sentendolo parlare così, si mise a ridere, dicendogli che lo ringraziava molto, ma che era meglio che conservasse per sè tutte le sue ricompense, dal momento che lui (il carnefice) non aveva alcuna speranza per l’altra vita.

Mentre egli (il fanciullo) disprezzava tutto ciò, come poca cosa; che il suo unico timore era di non avere la fortuna di morire per Gesù Cristo, come gli altri martiri.

Sua madre, che era testimone di tutto ciò, sebbene fosse cristiana, era sconsolata per veder morire il suo bambino su una croce.
Il povero piccolo, vedendo sua madre così desolata, la chiamò vicino a sè, dicendole che era poco edificante, per una madre cristiana, piangere tanto la morte di un figlio martire, come se non conoscesse la preziosità di un simile sacrificio.
Le aggiunse anche che ella dovrebbe incoraggiarlo, e ringraziare il buon Dio per un tale dono.

Questo fanciullo benedetto, poco prima di morire, disse delle cose così belle e così toccanti sulla felicità di quelli che muoiono per Gesù Cristo, che gli stessi pagani, così come i cristiani, si effusero in lacrime.

Quando fu vicino alla sua croce, prima di esservi attaccato, egli abbracciò quella croce, la baciò, la bagnò con le sue lacrime, tanto era felice perchè stava per morire per il suo Dio.

Quando tutti furono saliti sulle loro croci, si udì una schiera di angeli che cantava il “Laudate pueri Dominum”, con la loro musica celestiale, che fu sentita anche dai pagani.

Quale spettacolo! fratelli miei: il cielo nell’ammirazione!... la terra nello stupore!... i presenti, tra le lacrime!... e i martiri, nella gioia!... perchè abbandonavano la terra, cioè le sofferenze e le miserie della vita, per andare a prendere possesso di una felicità, che durerà quanto Dio stesso...

Ebbene! ditemi, fratelli miei, che cosa fu che portò tutti questi martiri ad affrontare tutti quei tormenti?
Non fu solo per non violare i comandamenti di Dio?
Quale vergogna per noi, fratelli miei, quando Gesù Cristo ci confronterà con loro.
Noi che, molto spesso, un semplice rispetto umano, un maledetto “che ne diranno gli altri?”, ci fa arrossire, o addirittura ci fa sconfessare il fatto di essere cristiani, per metterci nel numero dei rinnegati? (Matteo 10,32-33).

(Anche se conditi di leggenda e inquadrati in un genere letterariuo specifico, o format, come si direbbe oggi, gli Atti dei martiri, conservano comunque un nucleo sostanziale di verità storica.
D’altronde, è sotto gli occhi di tutti quello che ancora oggi succede in quelle zone dove i cristiani vengono orribilmente torturati e uccisi.
Occorre, oggi più che mai, uno svezzamento da tutte quelle agevolazioni pastorali, che, anche dall’alto, vengono favorite, per la preoccupazione che si riduca il numero dei cristiani nel mondo.
A parte l’effetto contrario che così si ottiene, perchè “Sanguis martyrum, semen cristianorum”, tutti questi adattamenti o compromessi con la mentalità mondana, non ottengono, alla fine, come osserva il santo curato, che di fare di quei pochi cristiani rimasti, dei “rinnegati”).

Ma esaminiamo tutto ciò, fratelli miei, un po’ più da vicino, e vedremo che, se il buon Dio ci ordina di osservare fedelmente i suoi comandamenti, è solo per la nostra felicità.

Egli stesso ci dice che essi sono facili da compiere e che, se li adempiremo, troveremo in essi la pace delle nostre anime.

Se, nel primo comandamento, il buon Dio ci comanda di amarlo, di pregarlo e di attaccarci soltanto a Lui, e se dobbiamo pregarlo sera e mattina e, frequentemente, durante la giornata, ditemi, fratelli miei, non consiste proprio in ciò la più grande nostra felicità, e cioè, proprio nel fatto che il buon Dio ci permetta di poterci presentare davanti a Lui, per chiedergli le grazie che ci sono necessarie, per trascorrere santamente la giornata?

Non è forse una grazia che ci fa, e non è proprio questa grazia, che il buon Dio ci dona al mattino, che rende tutte le nostre azioni, meritorie per il Cielo? Non è questo, che ce le fa trovare meno dure?

Se quel medesimo comandamento ci ordina di non amare altri che Dio, e di amarlo con tutto il nostro cuore, non è forse perchè Egli sa che non vi è altri che Lui che possa appagarci, e renderci felici, in questo mondo?

Guardate una casa, dove tutti i membri vivono solo per Dio: non è forse un piccolo paradiso?
Converrete dunque con me, fratelli miei, che questo comandamento non ha nulla che non risulti dolce e consolante, per chi abbia la felicità di osservarlo con fedeltà.

Se poi passiamo al secondo, che ci proibisce ogni sorta di giuramento, di bestemmia, d’imprecazione, e di maledizione, e ogni genere di collera, raccomandandoci la dolcezza, la carità e la premura, verso tutti quelli che ci circondano, ditemi, fratelli miei, chi sono coloro che sembrano più felici: quelli che si lasciano andare ad ogni eccesso di collera, di rabbia e di maledizioni, o coloro che, in tutto ciò che fanno o dicono, mostrano una stabilità di umore, una bontà, e si applicano costantemente a fare la volontà degli altri?

Vediamo quindi come questo comandamento non fa altro che rendere felici sia noi, sia quelli che ci circondano.
(Il collegamento, un po’ singolare, che il santo stabilisce tra il secondo comandamento “Non pronuncerai invano il Nome del Signore tuo Dio”, e la dolcezza, l’armonia e la docilità verso gli altri, si spiega col fatto che, specie nella società contadina di Ars, la frequenza e gravità delle bestemmie, era indice certo dello stato di agitazione nelle famiglie; n.d.a.).

Se veniamo al terzo comandamento, che ci ordina di trascorre santamente il giorno di domenica, cessando da ogni genere di lavoro manuale, per occuparci solamente di ciò che riguarda il servizio di Dio, e la salvezza della nostra anima, ditemi, fratelli miei, non è forse per il nostro bene?

Non è forse perchè smettiamo di affaticarci per le cose di questo mondo, che non sono nulla, dal momento che noi restiamo su questa terra solo un istante, mentre, se preghiamo o compiamo buone opere, ammassiamo per il Cielo un tesoro che non lasceremo mai, e, di conseguenza, attiriamo sul nostro lavoro della settimana, ogni sorta di benedizioni?
Non è forse questo uno strumento per la nostra felicità?

Questo stesso comandamento, ci comanda anche di impiegare questo santo giorno, a piangere i peccati commessi durante la settimana, e di purificarcene in virtù dei sacramenti.
E questo, fratelli miei, non equivale forse a costringerci, per così dire, a cercare unicamente il nostro bene, la nostra fortuna, e la nostra felicità eterna?

Forse che non siamo più contenti, allorchè abbiamo trascorso il santo giorno della domenica, pregando il buon Dio, piuttosto che se avessimo avuto la disgrazia di trascorrerlo in mezzo ai piaceri terreni, i giochi, e i bagordi?
Il terzo comandamento, dunque, non dice nient’altro, se non ciò che risulta consolante e vantaggioso per noi.
(Con una grande maestria, da par suo, il nostro santo curato, va dimostrando in maniera lampante che i comandamenti, lungi dall’essere, come in genere si pensa, una privazione di vitalità e di felicità, sono, invece, l’unico strumento adatto a renderci veramente e pienamente felici, già su questa terra, a patto che siano osservati fedelmente, senza pressappochismi.
Il termine francese “defendre”, che qui ricorre spesso, aiuta molto a farci comprendere tale verità: esso, infatti, significa, allo stesso tempo “proibire”, ma anche “difendere”, come a dire che, le apparenti proibizioni, non sono altro che autentiche difese della nostra vitalità e felicità; n.d.a.).

Se passiamo poi al quarto comandamento, che comanda ai figli di onorare i loro genitori, di amarli, di rispettarli e di augurare e procurare loro tutti i beni di cui sono capaci: ditemi, non è forse una cosa giusta e ragionevole?

Dei genitori che hanno fatto tanto per i loro figli! non è forse giusto che questi stessi figli li amino e diano loro tutte le consolazioni di cui sono capaci?

Se questo comandamento fosse ben osservato, tante famiglie, non sarebbero forse un piccolo paradiso, per quel rispetto, quell’amore che i figli nutrirebbero verso i loro genitori?

Se questo comandamento ordina ai genitori di prendersi massima cura delle anime dei loro figli, e dice loro che un giorno ne renderanno un conto molto rigoroso, non è forse una cosa giusta, dal momento che quelle anime sono costate tanto a Gesù Cristo, per salvarle, e che esse stesse saranno la gioia e la gloria dei loro genitori per tutta l’eternità?

Se questo stesso comandamento comanda ai padroni e alle padrone di prendersi massima cura dei loro domestici, di trattarli come se fossero loro figli, questi padroni non dovrebbero essere fin troppo felici, di poter aiutare a salvarsi, delle anime che sono costate tanti tormenti a un Dio fatto uomo per noi?

Per meglio dire, fratelli miei: se questo comandamento venisse osservato come si deve, il cielo non discenderebbe forse sulla terra, per la pace e la felicità che vi potremmo gustare? (il curato indica qui, molto bene, il motivo per il quale oggi le famiglie, in molti casi, sembrano tutt’altro che ambienti paradisiaci; colpisce, inoltre, che il santo deduca dal quarto comandamento, non solo gli obblighi dei figli verso i genitori, ma anche l’inverso: non sfugge alla sua acutezza psico-spirituale, che il solo titolo di padre o di madre, implica, per essere inverato, certi obblighi non espressi esplicitamente; n.d.a.).

Se passiamo al quinto comandamento, che ci proibisce di fare del torto al nostro prossimo nei suoi beni, nella sua reputazione, e nella sua persona (massima estensione semantica del “non uccidere!”; n.d.a.), non è forse una cosa alquanto giusta, dal momento che dobbiamo amarlo come noi stessi, e, nello stesso tempo, non è una cosa molto vantaggiosa per noi, dal momento che Gesù Cristo ci dice che giammai i beni altrui entreranno nel cielo? (pensiero poco chiaro; n.d.a.).

Vedete bene che questo comandamento non ha nulla di duro, visto che per esso ci assicuriamo il cielo.

Se passiamo al sesto comandamento, che ci proibisce ogni impurità, nei pensieri, nei desideri e nelle azioni, non è forse per la nostra pace e per la nostra felicità, che il buon Dio ci vieta tutte queste cose?
Se ci capita la disgrazia di lasciarci andare a qualcuno di questi peccati infami, la vostra povera anima, non viene forse a trovarsi in una specie di inferno?
Non ne siete tormentati sia di giorno che di notte?
D’altro canto, il vostro corpo e la vostra anima, non sono forse destinati a divenire la dimora della Santissima Trinità?
Non devono forse andare a trascorrere una eternità con gli angeli, alla presenza di Gesù Cristo, che è la purezza in persona?
Vedete dunque che questo comandamento non ci è dato che per il nostro bene e per il nostro riposo, già da questo mondo.

Se il buon Dio ci dice, fratelli miei, con la voce della sua Chiesa: «Io vi ordino di non lasciare mai passare più di un anno, senza confessarvi», ditemi, questo comandamento non serve forse a mostrarci la grandezza dell’amore di Dio per noi?

Ditemi, quand’anche la Chiesa non ci avesse rivolto questo comandamento, potremmo mai vivere tranquilli covando il peccato nel cuore, col Cielo chiuso sopra di noi, essendo esposti, ad ogni istante, a cadere nell’inferno?

Se il buon Dio ci comanda di riceverlo a Pasqua, ahimè! fratelli miei, potrebbe mai un’anima vivere bene, facendo un solo pasto all’anno?

Mio Dio! quanto poco conosciamo il nostro bene e la nostra felicità!
Se la Chiesa ci ordina di privarci di mangiare la carne, e di digiunare in certi giorni, è forse una cosa ingiusta, dal momento che, essendo peccatori, dobbiamo necessariamente fare penitenza, o in questo mondo o nell’altro?
Non equivale forse a scambiare delle piccole pene e privazioni, con mali molto più rigorosi, nell’altra vita?

Non converrete, dunque, con me, fratelli miei, che se il buon Dio ci ha dato dei comandamenti, e ci obbliga ad osservarli, non lo fa per altro motivo, se non per renderci felici, in questo mondo e nell’altro?
Di modo che, fratelli miei, se noi vogliamo sperare qualche consolazione e qualche addolcimento delle nostre miserie, li troveremo unicamente osservando con fedeltà i comandamenti di Dio; e, nella misura in cui li violeremo, noi saremo infelici, già in questo mondo (questo assioma ritornante come un ritornello, nell’intera omelia, potremmo definirlo la formula assoluta della felicità, secondo il curato d’Ars; n.d.a.).

Sì, fratelli miei, quand’anche una persona fosse padrona della metà del mondo, se non facesse consistere tutta la sua felicità nell’osservare pienamente i comandamenti, non sarebbe altro che un infelice.

Guardate, fratelli miei, chi era più felice un sant’Antonio, nel suo deserto, dedito a tutti i rigori della penitenza, o un Voltaire, con tutti suoi beni e i suoi piaceri, e, come ci dice san Paolo, con tutta la sua abbondanza e le sue baldorie?

Sant’Antonio, visse felice, morì contento, e, adesso, gode di una felicità che non finirà mai, mentre l’altro visse infelice, con tutti i suoi beni, morì da disperato e ora, con ogni probabilità senza voler giudicare, soffre come dannato.

Perchè, fratelli miei, questa grande differenza?
E’ perchè l’uno ha fatto consistere tutta la sua felicità nell’osservare i comandamenti di Dio, mentre l’altro ha messo ogni suo impegno nel violarli e nel disprezzarli.
L’uno, nella sua povertà, era contento, mentre l’altro, nella sua abbondanza era alquanto miserabile.

Questo ci dimostra, fratelli miei, che non c’è che Dio solo che possa appagarci, e nessun’altra cosa!
(Bella stoccata contro il celebre scrittore anticlericale e mangiapreti, da parte del nostro curato, che però, come altre volte, sbaglia citazione biblica: non si tratta di san Paolo ma di Gesù, in Luca 21,34.
Con la sua sottile ironia e il suo bonario sarcasmo, il santo controbatte, ribaltandolo completamente, il famoso detto sui cristiani e, in particolare sui religiosi, che Voltaire era solito ripetere: “Vivono senza conoscersi, muoiono senza rimpiangersi” , contrapponendogli il suo: “Antonio visse felice e morì contento, mentre l’altro visse infelice e morì disperato”; chiamandolo “l’altro” allude a quel ricco del vangelo, che Gesù lasciò innominato, al contrario del povero Lazzaro, ben degno di un nome!...; n.d.a.).

Guardate quale felicità riceviamo, se osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio, dal momento che Gesù Cristo ci dice: «Colui che osserva i miei comandamenti mi ama, e colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio; verremo a lui, e porremo in lui la nostra dimora» (Giovanni 14,23).

Quale felicità può esserci più grande e quale grazia più preziosa, se, osservando i comandamenti di Dio, attiriamo dentro di noi il Cielo intero?

Il santo re Davide, aveva ben ragione di gridare: «O mio Dio, quanto sono felici quelli che ti servono!» (Salmo 119, passim;).

Guardate ancora, come il buon Dio benedica le famiglie di coloro che osservano le leggi divine.
Leggiamo nel Vangelo che il padre e la madre di san Giovanni Battista, custodivano così bene i comandamenti, che nessuno poteva rimproverare loro la minima cosa; e così il buon Dio, come ricompensa, donò loro un figlio che fu il più grande di tutti i profeti.
Un angelo dal cielo, venne ad annunciare loro questa bella notizia. Fu lo stesso Padre Eterno, che gli diede il nome di Giovanni, che vuol dire: figlio di benedizione e di felicità.

Non appena Gesù Cristo fu concepito, nel seno di sua madre, si reca Lui stesso in quella casa, per spandervi ogni sorta di benedizioni.
Santificò quel fanciullo, prima ancora che nascesse, e riempì il padre e la madre di Spirito Santo.

Volete, fratelli miei, che il buon Dio vi faccia visita, e vi ricolmi di ogni genere di benedizioni? Impegnatevi a fare ogni sforzo, per osservare i comandamenti di Dio, e tutto per voi andrà per il meglio.

Leggiamo nel Vangelo che un giovane chiese a Gesù Cristo, che cosa bisognasse fare per avere la vita, e il Salvatore gli rispose: «Se vuoi possedere la vita eterna, osserva con fedeltà i miei comandamenti» (Matteo 19,17).

Nostro Signore, un giorno, intrattenendosi con i suoi discepoli sulla felicità dell’altra vita, disse che il cammino che conduce al Cielo è stretto, che ce n’è ben pochi che lo cercano sinceramente, e che, tra quelli che lo trovano, ben pochi perseverano su quella strada:
«Non sono coloro che dicono “Signore, Signore”, che si salveranno, ma solo quelli che faranno la Volontà del Padre mio, custodendo i miei comandamenti.
Molti mi diranno, nel giorno del giudizio, “Signore, noi abbiamo profetizzato nel tuo nome; abbiamo scacciato i demoni dal corpo dei posseduti, e abbiamo compiuto grandi miracoli”.
Ma Io risponderò loro: “allontanetevi da me, operatori d’iniquità; voi avete fatto grandi cose, ma non avete osservato i miei comandamenti: Io non vi conosco!» (cfr. Matteo 7,13-23).

Gesù Cristo disse al discepolo prediletto: «Sii fedele a me sino alla fine, e Io ti darò la corona eterna» (Apocalisse 2,10).

Vedete dunque, fratelli miei, che la nostra salvezza dipende assolutamente dall’osservanza dei comandamenti di Dio.
Se avete qualche dubbio se sarete salvati o dannati, prendete i comandamenti di Dio, e confrontateli con la vostra vita.
Se vi accorgete che state camminando sul sentiero che essi vi hanno tracciato, non preoccupatevi d’altro che di perseverare; ma, se vivete nella maniera opposta, allora sì che dovrete tormentarvi: sarete senza alcun dubbio dannati.

Noi affermiamo che, se vogliamo possedere la pace dell’anima, dobbiamo osservare i comandamenti di Dio, poichè lo Spirito Santo ci dice che colui che ha una coscienza pura, si trova in una continua festa (Proverbi 15,15).

E’ certissimo, fratelli miei, che colui che vive secondo le leggi di Dio, è sempre contento e, ancora di più, niente è capace di turbarlo.

San Paolo ci dice che egli è più felice e più contento nella sua prigione, nelle sue sofferenze, nelle sue penitenze, e nella sua povertà, di quanto i suoi carnefici non lo siano nella loro libertà, nella loro abbondanza, e nelle loro baldorie; che la sua anima è piena di tanta gioia e consolazione, che trabocca da ogni lato (passim nelle lettere).

Santa Monica ci dice che ella fu sempre contenta,
sebbene ella fosse spesso maltrattata da suo marito, che era un pagano.

San Giovanni della Croce ci dice che aveva trascorso i giorni più felici della sua vita, proprio là, dove aveva sofferto di più (il grande dottore mistico, era rimasto rinchiuso in carcere per diversi mesi, per ordine dei suoi superiori; n.d.a.).

Al contrario, il profeta Isaia ci dice che «Colui che non vive secondo le leggi del Signore, non sarà nè contento, nè felice. La sua coscienza sarà come un mare agitato da una tempesta furiosa; i turbamenti e i rimorsi, lo seguiranno ovunque» (Isaia 57,20).

Se queste persone vi volessero dire che sono in pace, voi non credete loro, perchè stanno mentendo, dal momento che il peccatore non può avere pace, mai (Isaia 57,21).

Ne potete avere la prova, fratelli miei, in Caino.
Dall’istante in cui ebbe la disgrazia di uccidere il suo fratello Abele, il suo peccato fu, per tutta la sua vita, il suo stesso carnefice, che lo abbandonò solo alla morte, per trascinarlo nell’inferno (cfr.Genesi 4,14).

Guardate anche i fratelli di Giuseppe (Genesi 42,21).

Guardate anche Giuda: dopo aver venduto il suo divin Maestro, ne fu così tormentato, che andò ad appendersi a un fico, tanto la vita gli era divenuta pesante (Matteo 27,5, ma non si accenna a nessun fico; n.d.a.).

Leggiamo nella storia che un giovane, in un eccesso di furore, uccise il suo povero padre.
Il suo peccato non gli diede tregua, nè giorno nè notte.
Sentiva il padre che gli gridava: «Ah! figlio mio, perchè mi hai sgozzato?».
Fino al punto che andò lui stesso ad autodenunciarsi, affinchè lo si mettesse a morte, pensando che l’inferno non sarebbe stato più rigoroso.

Ahimè! fratelli miei, se abbiamo la disgrazia di non osservare i comandamenti di Dio, non saremo mai contenti, anche se possedessimo i più grandi beni.
Guardate Salomone, e tanti altri.

Ma la cosa strana, fratelli miei, è il fatto che l’uomo, pur riconoscendo il suo tormento, e sapendo quali sono i rimedi che bisogna prendere, per avere pace con il suo Dio e con se stesso, tuttavia preferisce cominciare il suo inferno (qui sulla terra), piuttosto che fare ricorso ai rimedi che Gesù Cristo ci ha donati.

Sei davvero un disgraziato, amico mio: perchè vuoi rimanere in questo stato.
Ritorna a Gesù Cristo e ritroverai la pace dell’anima, che i tuoi peccati ti hanno rapito.

Abbiamo detto che, se non osserviamo i comandamenti di Dio, saremo infelici, per tutti i giorni della nostra vita.
Ne avete una prova in Adamo.

Dall’istante in cui ebbe peccato, il Signore gli disse: «Poichè hai trasgredito le mie leggi, la terra, per causa tua, sarà maledetta; essa, di per se stessa, produrrà solo rovi e spine. Tu mangerai il tuo pane col sudore della tua fronte, e ciò, per tutti i giorni della tua vita» (Genesi 3,17-19).

Vedete Caino; il Signore gli disse: «Caino, il sangue di tuo fratello grida vendetta, tu sarai errante, vagabondo e fuggitivo, tutti i giorni della tua vita» (cfr. Genesi 4).
Guardate ancora Saul...

Perciò, fratelli miei, dal momento in cui cessiamo di seguire ciò che i comandamenti di Dio ci ordinano, dobbiamo aspettarci ogni sorta di mali spirituali e temporali.

Padri e madri, volete essere felici?
Cominciate ad osservare per bene i comandamenti di Dio, voi stessi per primi, in modo che possiate offrirvi come modelli ai vostri figli, e possiate sempre dire: «Fate come me».

Se volete che essi facciano bene le loro preghiere, date loro l’esempio, metteteli al vostro fianco.
Volete che essi osservino il santo giorno della domenica? cominciate da voi stessi.
Volete che siano caritatevoli? Siatelo prima voi stessi.

Ahimè! fratelli miei, se tanti mali ci opprimono, non cerchiamo nessun’altra ragione, se non la moltitudine dei peccati che commettiamo, trasgredendo i comandamenti di Dio.

Piangiamo, fratelli miei, per coloro che verranno qualche secolo dopo di noi! Ahimè! sarà ancora peggio! (volo pindarico profetico del nostro curato, che ci aveva azzeccato bene...; n.d.a.).

Vogliamo, fratelli miei, che Dio cessi di castigarci?
Cessiamo prima noi di offenderlo.
Facciamo come i santi, che hanno sacrificato tutto, piuttosto che violare le sue sante leggi.

Guardate un san Barthélemy, e una santa Regina, che sono stati scorticati vivi, perchè non volevano offendere Dio.
Vedete un san Pietro e un sant’Andrea, che sono stati crocifissi sulla croce.
Guardate tutta quella folla di martiri, che hanno sopportato mille tormenti, pur di non trasgredire i comandamenti.
Guardate tutti i combattimenti che hanno sostenuto i padri del deserto, contro il demonio e le sue inclinazioni.

Allorchè san Francesco d’Assisi si trovava su di una montagna per pregare, gli abitanti del vicinato vennero per chiedergli di liberarli, con le sue preghiere, dalla moltitudine di bestie feroci, che divoravano tutto quello che avevano.
Il santo rispose loro: «Figli miei, tutto ciò deriva dal fatto che avete violato i comandamenti di Dio; ritornate a Dio, e sarete liberati».
E infatti, non appena ebbero cambiato vita, furono liberati.

Perciò, concludendo, diciamo che, se vogliamo che i nostri mali spirituali e temporali finiscano, finiamola noi per primi, di offendere il buon Dio; cessiamo di trasgredire i suoi comandamenti.

Cessate, fratelli miei, di dedicare il vostro cuore, il vostro spirito, e forse anche il vostro corpo, all’impurità.
Cessate, fratelli miei, di frequentare i giochi, i cabarets, i luoghi di piacere.
Cessate, fratelli miei, di lavorare di domenica.
Cessiamo di allontanarci dai sacramenti.
Cessiamo, fratelli miei, di prendere alla leggera la legge del digiuno e dell’astinenza.
Abbandoniamo la via che seguono i pagani, che non conoscono i comandamenti.

Cerchiamo, fratelli miei, la nostra vera felicità, che non può trovarsi che in Dio solo, compiendo fedelmente i comandamenti.

Smettiamola, fratelli miei, di affaticarci per rendere noi stessi infelici per tutta l’eternità.
Ritorniamo a Dio, fratelli miei, e pensiamo che noi siamo cristiani e che, di conseguenza, dobbiamo combattere le nostre inclinazioni e il demonio, fuggire il mondo con i suoi piaceri, vivere nelle lacrime (Luca 6,21.25!), nella penitenza e nell’umiltà.
Diciamo, come il santo re Davide:
«Sì, Dio mio! mi sono allontanato dai tuoi comandamenti, a causa dei miei peccati; ma, mio Dio, aiutami, voglio ritornare a Te con le lacrime e con la penitenza, e camminerò tutti i giorni della mia vita, ascoltando la voce dei tuoi comandamenti, che mi condurranno a Te, per mai più perderti» (passim, nei salmi).

Felice, fratelli miei, colui che imiterà questo santo re , il quale, una volta ritornato a Dio, non lo abbandonò mai più!
E’ questo, fratelli miei, ciò che vi auguro...