I Re Magi

EPIFANIA
I Re Magi
“Abbiamo visto la sua stella, e siamo venuti ad adorarlo”
(Matteo 2,2)
Giorno felice per noi, fratelli miei, giorno eternamente memorabile, nel quale la Misericordia del Sgnore ci ha tratto fuori dalle tenebre dell'idolatria, per chiamarci alla conoscenza della fede, nella persona dei Magi, che vengono dall'Oriente per adorare e riconoscere il Messia come loro Dio e Salvatore, anche a nome nostro.
Sì, fratelli miei, essi sono nostri padri e nostri modelli nella fede. Felici noi, se saremo fedeli nell'imitarli e nel seguirli!
Oh! scriveva con trasporto d'amore e di riconoscenza, san Leone papa: «Angeli della città celeste, prestateci le vostre fiamme d'amore, per ringraziare il Dio della Misericordia per la nostra vocazione al cristianesimo e alla salvezza eterna».
Celebriamo, ci dice questo grande santo, con allegria, gli inizi della nostra felice speranza.
Ma, sull'esempio dei Magi, siamo fedeli alla nostra vocazione, altrimenti dobbiamo temere che Dio ci faccia seguire il medesimo castigo dei Giudei, che erano il suo popolo eletto.
Da Abramo, fino alla venuta del Messia, li aveva condotti quasi per mano, e in ogni occasione si era mostrato loro Protettore e loro Liberatore; ma, in seguito, li ripudiò e li scacciò, a causa del disprezzo che avevano avuto verso tutte le sue grazie.
Sì, fratelli miei, questa preziosa fede ci verrà tolta e sarà portata in altri paesi, se noi non ne pratichiamo le opere. Ebbene! Fratelli miei, vogliamo conservare presso di noi questo prezioso deposito? Allora seguiamo fedelmente le tracce dei nostri padri nella fede.
Per avere una pallida idea della grandezza del beneficio della nostra vocazione al Cristianesimo, dobbiamo solo considerare che cosa erano i nostri antenati, prima della venuta del Messia, loro Dio, loro Salvatore, loro Luce e loro Speranza.
Erano dediti ad ogni sorta di crimini e di disordini, erano nemici di Dio, schiavi del demonio, vittime votate alla eterna vendetta.
Ma noi, possiamo forse, fratelli miei, ah! possiamo riflettere su uno stato così deplorevole, senza ringraziare questo Dio di bontà, con tutta la pienezza del nostro cuore, di averci voluto chiamare alla conoscenza della vera religione, e di aver fatto tutto ciò che ha fatto, per salvarci?
O favore, o grazia inestimabile, così preziosa e così poco conosciuta nell'infelice secolo nel quale viviamo, dove la maggior parte sono cristiani solo di nome!
Ebbene! Fratelli miei, che cosa abbiamo fatto noi a Dio, per essere stati preferiti a tanti altri, che sono periti, e che periscono ancora ogni giorno, nell'ignoranza e nel peccato?
Ahimè! che cosa dico? Forse noi siamo ancora più indegni di questo beneficio, perfino dell' infelice popolo dei Giudei!
Se siamo nati nel seno della chiesa cattolica, mentre tanti altri, fuori di essa, periscono, è per effetto della Bontà di Dio verso di noi.
Parleremo quindi della vocazione alla fede.
Considerando la fede nei Magi, vedremo che ne praticavano le opere, e che la loro fedeltà alla grazia, fu pronta, generosa e perseverante.
In seguito, paragoneremo la nostra fede, così debole, a quella dei Magi, che era così viva.
Infine parleremo della riconoscenza che dobbiamo a Dio, per averci accordato il dono della fede. Potremmo mai ringraziare abbastanza il Signore, per un beneficio così grande?

Diciamo anzitutto che la fedeltà dei Magi alla grazia fu pronta. Infatti, non appena avvistarono la stella miracolosa, senza pensarci troppo, partono per andare alla ricerca del loro Salvatore, così in fretta, così ardenti del desiderio di giungere alla meta alla quale la Grazia, raffigurata dalla stella, li chiama, che nulla li può trattenere
Ahimè! Fratelli miei, quanto siamo lontani dall'imitarli! Da quanti anni Dio ci chiama con la sua Grazia, dandoci l'ispirazione di abbandonare il peccato, di riconciliarci con Lui? Ma noi restiamo sempre insensibili e ribelli. Oh! Quando arriverà quel giorno felice, nel quale faremo come i Magi, che lasciarono e abbandonarono tutto per donarsi a Dio?
In secondo luogo, fratelli miei, diciamo che la loro fedeltà alla loro vocazione, fu generosa, perché essi superarono tutte le difficoltà e tutti gli ostacoli che si frapponevano, per seguire la stella.
Ahimè! Quanti sacrifici dovranno fare? Devono abbandonare il loro paese, la loro casa, la loro famiglia, il loro regno, o, per meglio dire, devono allontanarsi da tutto ciò che hanno di più caro al mondo, devono prepararsi a sopportare le fatiche di lunghi e penosi viaggi, e proprio nella stagione più rigida dell'anno: tutto sembrava opporsi al loro progetto.
Quante lamentele dovettero sorbirsi da parte dei loro pari, come pure da parte del popolo! Ma no! Niente riesce a fermarli nella loro marcia così importante.
Ed ecco, fratelli miei, in cosa consiste precisamente il merito della fede: rinunciare a tutto e sacrificare ciò che si ha di più caro, per obbedire alla voce della Grazia che ci chiama.
Ahimè! Fratelli miei, se per guadagnarci il Cielo, dovessimo fare dei sacrifici come quelli dei Magi, quanto sarebbe piccolo il numero degli eletti! Ma no, fratelli miei, sarebbe sufficiente che facessimo soltanto quello che facciamo per gli affari terreni, e saremmo sicuri di guadagnarci il Cielo.
Vedete: un avaro lavorerà notte e giorno per ammucchiare o per guadagnare del denaro. Guardate un ubriacone: sfacchinerà e soffrirà tutta la settimana, per avere qualche soldo e poter bere la domenica. Guardate questi giovani dediti ai piaceri! Faranno parecchi chilometri con lo scopo di trovare qualche insipido piacere, ben condito di amarezza. Ritorneranno a notte avanzata. Arrivati a casa, invece di essere commiserati, verranno solo rimproverati, sempre che i genitori non abbiano ancora perso il ricordo di Dio, che un giorno gli chiederà conto della loro anima.
Vedete voi stessi, che in tutti questi casi, ci sono da fare molti sacrifici; tuttavia niente li scoraggia, e si viene a capo di tutto; o per frode o per astuzia tutto si riesce a fare.
Ma, ahimè! Fratelli miei, quando si tratta della nostra salvezza, che cosa riusciamo a fare? Quasi tutto ci sembra impraticabile. Confessiamolo, fratelli miei, che il nostro accecamento è molto deplorevole: facciamo tutto quello che facciamo, per questo miserabile mondo, ma poi non vogliamo fare nulla per assicurarci la nostra eterna felicità.
Vediamo ancora, fratelli miei, fino a che punto i Magi spingono la loro generosità. Arrivano a Gerusalemme, la stella che li aveva guidati durante il viaggio, scompare davanti a loro. Credevano, senza dubbio, di trovarsi nel luogo dove era nato il Salvatore che erano venuti ad adorare, e pensavano che tutta Gerusalemme fosse al colmo della più grande gioia, per la nascita del loro Liberatore.
Quale stupore! Quale sorpresa per essi, fratelli miei! Non soltanto Gerusalemme non presenta nessun segno di gioia, ma ignora addirittura che il suo Liberatore è nato. I Giudei sono altrettanto sorpresi di veder venire i Magi per adorare il Messia, quanto i Magi sono stupiti che un tale evento sia stato ad essi stessi annunciato.
Quale prova per la loro fede! Cos'altro ci voleva, per farli rinunciare al loro viaggio e ritornare, il più segretamente possibile, nel loro paese, per timore di diventare la favola di tutta Gerusalemme?
Ahimè! Fratelli miei, è ciò che molti di noi avrebbero fatto, se la nostra fede fosse stata messa a una simile prova. Non fu senza mistero che la stella scomparve: fu per risvegliare la fede dei Giudei che chiudevano gli occhi su un avvenimento simile; bisognava che degli stranieri venissero per rimproverargli il loro accecamento.
Ma tutto questo, invece di far crollare i Magi, li conferma, al contrario, nella loro risoluzione.

Ma tutto questo, invece di far crollare i Magi, li conferma, al contrario, nella loro risoluzione.
Abbandonati, in apparenza, da questa luce, forse che i nostri santi re si scoraggeranno? Lasceranno perdere ogni cosa? Oh! No, fratelli miei: forse, se fossimo stati noi, sì; anzi, senza dubbio, sarebbe bastato molto meno.
Essi si rivolgono da un'altra parte, vanno a consultare i dottori che sapevano avere nelle mani le profezie che indicavano loro il luogo e il momento in cui il Messia sarebbe nato, e domandano loro in quale luogo doveva nascere il nuovo re dei Giudei.
Calpestando sotto i piedi ogni rispetto umano, penetrano fin dentro il palazzo di Erode, e gli chiedono dove sia questo re nato ultimamente, dichiarandogli, senza timore, di essere venuti per adorarlo.
Il fatto che il re possa offendersi per una simile domanda, non riesce a fermare la loro ricerca tanto importante: vogliono trovare il loro Dio a qualunque prezzo.
Quale coraggio, fratelli miei, quale fermezza! Oh! Fratelli miei, che ne è di noi, noi che temiamo anche un piccolo scherno? La preoccupazione di cosa diranno gli altri, ci impedisce di adempiere i nostri doveri religiosi e di frequentare i sacramenti.
Quante volte siamo arrossiti nel fare il segno di croce, prima e dopo i pasti? Quante volte il rispetto umano ci ha fatto trasgredire le regole dell'astinenza e del digiuno, per paura di essere catalogati e passare per buoni cristiani?
A che punto ci troviamo, fratelli miei?
Oh! quale vergogna quando, nel giorno del giudizio, il Salvatore metterà la nostra condotta a confronto con quella dei Magi, nostri padri nella fede, che hanno lasciato tutto e sacrificato tutto, pur di non opporre resistenza alla voce della Grazia che li chiamava?
Vedete, inoltre, come fu grande la loro perseveranza.
I dottori della legge dicevano loro che tutte le profezie annunciavano che il Messia doveva nascere a Betlemme, e che ormai il tempo era giunto. Appena ricevuta questa risposta, partono per quella città.
Non dovevano forse aspettarsi che succedesse anche a loro ciò che era successo alla santa Vergine e a san Giuseppe? Cioè che l'afflusso di gente sarebbe stato così grande, che non avrebbero trovato posto? Potevano forse dubitare che i Giudei, che attendevano il Messia da quattromila anni (numerazione puramente congetturale, secondo un filone esegetico-letterale dell'epoca), sarebbero accorsi in gran folla, per gettarsi ai piedi di quella mangiatoia, riconoscendolo come loro Dio e loro Liberatore?
Ma questo, fratelli miei non successe, e nessuno si mosse: i Giudei erano nelle tenebre e lì rimasero. Come fanno i peccatori, che ascoltano continuamente la voce di Dio che li richiama con forza, per bocca dei pastori, affinché abbandonino il loro peccato per donarsi a Lui, ma essi restano ancora più colpevoli e induriti (cfr. nota).
Ma, fratelli miei, ritorniamo ai santi re Magi. Essi partono soli da Gerusalemme; come sono giusti! Oh! quale fede! Forse che Dio li lascerà senza ricompensa? Senza dubbio, no.
Sono appena usciti dalla città, che quella luce, cioè quella stella miracolosa, ricompare davanti a loro e sembra prenderli per mano per farli arrivare in quel povero rifugio di miseria e di povertà. Essa si ferma e sembra dire loro: «Ecco Colui che vi ho annunciato. Ecco Colui che è atteso. Sì, entrate e lo vedrete. Egli è Colui che è stato generato da tutta l'eternità, e che è appena nato, cioè che ha preso un corpo umano che dovrà sacrificare per salvare il suo popolo. Che questa parvenza di miseria non vi scoraggi. E' legato con delle fasce, ma è Quello stesso che lancia la folgore dal più alto dei cieli. La sua vista fa tremare l'inferno, perché l'inferno riconosce in Lui il proprio vincitore».
Questi santi re, in questo momento, sentono i loro cuori così ardenti d'amore, che si gettano ai piedi del loro Salvatore e bagnano questa paglia con le loro lacrime.
Che spettacolo che dei re, riconoscano per loro Dio e Salvatore, un bambino coricato su una mangiatoia, fra due vili animali! Oh! Che cosa preziosa è la fede!
Non soltanto, questo stato di povertà non li scoraggia, ma ne restano ancora più commossi ed edificati. I loro occhi sembrano non potersi saziare di contemplare il Salvatore del mondo, il Re del cielo e della terra, il Padrone di tutto l'universo, ridotto in quello stato.
Le delizie da cui i loro cuori furono inondati, furono talmente abbondanti, che essi donarono al loro Dio tutto ciò che avevano, e tutto ciò che potevano dargli. Da quel momento consacrano a Dio le loro persone, non volendo essere padroni neppure di se stessi. Non contenti di questa offerta, offrono ancora tutti i loro regni.
Seguendo l'usanza degli orientali, che non si avvicinano mai ai grandi principi, senza fare loro dei regali, offrono a Gesù i più ricchi prodotti dei loro paesi, cioè oro, incenso e mirra, e per mezzo di questi doni, essi esprimono l' idea che si erano fatta del Salvatore, riconoscendo la sua divinità, la sua sovranità e la sua umanità.
La sua divinità, con l'incenso, che è dovuto a Dio solo; la sua umanità, con la mirra, che serve ad imbalsamare il corpo; la sua sovranità, con l'oro, che è il tributo ordinario che si versa ai sovrani.
Ma queste offerte esprimevano, meglio ancora, i sentimenti del loro cuore. La loro ardente carità, era manifestata con l'oro, che ne è il simbolo; la loro tenera devozione, era raffigurata dall'incenso; i sacrifici che offrivano a Dio, da un cuore mortificato, erano rappresentati dalla mirra.

Quale virtù, fratelli miei, in questi tre Orientali! Dio, vedendo la disposizione dei loro cuori, non avrebbe dovuto dire di loro, quello che disse in seguito, e cioè, che non aveva visto una fede più viva in tutto Israele?
Infatti, i Giudei avevano il Messia in mezzo a loro e non vi ponevano affatto attenzione; i Magi, invece, sebbene molto distanti, erano venuti a cercarlo e a riconoscerlo come loro Dio. I Giudei, in seguito, lo trattano come il più criminale che sia mai vissuto sulla faccia della terra, e finiscono per crocifiggerlo, nel momento stesso che Egli dava prove del tutto evidenti della sua divinità; i Magi, invece, lo vedono coricato sulla paglia, ridotto nella condizione più vile, e si gettano ai suoi piedi per adorarlo, e lo riconoscono come loro Dio, loro Salvatore e loro Liberatore.
Oh! Che cosa preziosa è la fede! Se avessimo la fortuna di comprenderlo a fondo, quale cura dovremmo mai avere, per conservarla dentro di noi!
Allora, fratelli miei, chi vogliamo imitare, i Giudei o i Magi? Cosa si nota nella maggior parte dei cristiani? Ahimè! una fede debole e languida. E quanti ce ne sono che hanno la stessa fede dei demoni, che "credono che esista un Dio, e tremano alla sua presenza"? (Gc 2,19).
E' molto facile convincersi di ciò. Constatate, fratelli miei, se noi crediamo che Dio abita nelle nostre chiese, dal momento che, quando ci troviamo in esse, chiacchieriamo, voltiamo la testa da una parte all'altra, e neppure ci mettiamo in ginocchio quando Egli ci mostra l'eccesso del suo amore, cioè durante la Comunione o la benedizione.
Crediamo forse che esista un Dio? Oh! no, fratelli miei, oppure, se anche lo crediamo, è solo per recargli oltraggio.
Quale uso, fratelli miei, facciamo del dono prezioso della fede e degli strumenti di salvezza, che troviamo nel seno della chiesa cattolica? Quale somoglianza c'è tra la nostra vita, e la santità della nostra religione?
Possiamo dire, fratelli miei, che la nostra testimonianza sia conforme ai precetti del vangelo e agli esempi che Gesù Cristo ci ha lasciato? Stimiamo e pratichiamo tutto quello che Gesù Cristo stima e pratica? Cioè, amiamo noi la povertà, le umiliazioni e il disprezzo?
Preferiamo il nostro essere cristiani, a tutti gli onori, e a tutto ciò che possiamo possedere e desiderare sulla terra? Abbiamo verso i sacramenti, quel rispetto, quel desiderio e quella sollecitudine, per approfittare di quella Grazia che il Signore ci prodiga in essi?
Ecco, fratelli miei, su che cosa ciascuno di noi deve esaminarsi.
Ahimè! quanto sono grandi e amari i rimproveri che dobbiamo rivolgere a noi stessi, su questi differenti punti. Alla vista di tanta infedeltà e ingratitudine, non dobbiamo tremare, nel timore che Gesù Cristo ci tolga, come ai Giudei, il dono prezioso della fede, per trasferirlo in altri regni, dove se ne faccia un miglior uso?
Perchè i Giudei hanno cessato di essere il popolo di Dio? Non è forse per il disprezzo che hanno avuto verso le sue grazie?
State attenti, ci dice san Paolo, perchè, se non restate fermi nella fede, anche voi sarete rigettati e scacciati, come i Giudei (Rm 10,20).
Ahimè! fratelli miei, come non temere che ci piombi addosso questa sciagura, considerando quanto poca fede c'è sulla terra? Infatti, fratelli miei, quale fede si scorge tra i giovani, i quali dovrebbero consacrare al Signore la primavera dei loro giorni, per ringraziarlo di averli arricchiti con quel prezioso deposito?
Non li vediamo piuttosto, tutti intenti, gli uni, a soddisfare la loro vanità, gli altri, a immergersi nei piaceri? Non dovrebbero ammettere essi stessi, che bisognerebbe insegnare loro che possiedono un'anima? Sembra come se Dio gliel'abbia consegnata solo per poterla perdere.
Quale fede, poi, troviamo in coloro che, raggiunta l'età matura, cominciano a perdere l'incanto delle follie della giovinezza? Non li vediamo occupati, notte e giorno, per accrescere la loro fortuna materiale? Pensano forse a salvare la loro povera anima, sulla quale la fede li informa che, se la perdono, allora, per essi, tutto è perduto?
No, fratelli miei, poco importa a loro se la fede è perduta o salvata, purchè accrescano le loro ricchezze!

 
Infine, quale fede si trova fra gli anziani che, “tra qualche minuto”dovranno comparire davanti a Dio, per rendere conto della loro vita, la quale, forse non è stata altro che un tessuto di peccati?
Pensano forse ad approfittare del tempo che Dio, nella sua Misericordia, vuole ancora accordare loro, e che dovrebbe essere consacrata solo a piangere le loro colpe?
Non li vedete e non li sentite, ogni volta che ne hanno l'occasione, come si vantano rumorosamente dei piaceri che hanno gustato nelle follie della loro giovinezza?
Ahimè! fratelli miei, dobbiamo forse essere costretti ad ammettere che la fede è quasi spenta, o meglio, è proprio questo ciò che dicono tutti coloro che non hanno ancora abbandonato la loro anima alla tirannia del demonio.
Infatti, fratelli miei, quale fede si può mai sperare di trovare in un cristiano capace di restare tre, quattro e sei mesi senza frequentare i sacramenti? Ahimè! e quanti ce ne sono che restano un anno intero, e quanti altri tre o quattro anni!
Temiamo fratelli, temiamo di sperimentare gli stessi castighi che Dio ha fatto provare a tante altre nazioni che, forse, li hanno meritati meno di noi, o ne hanno tratto una migliore lezione di quanto abbiamo fatto noi, che avevamo preso il posto privilegiato dei Giudei, ma ora corriamo il rischio che ci venga tolto il dono della fede, e venga trasferito altrove.
Ma che dobbiamo fare, fratelli miei, per avere la felicità di non esserne mai privati? Dobbiamo fare come i Magi che lavorarono incessantemente per rendere sempre più viva la loro fede. Vedete, fratelli miei, come i Magi sono attaccati a Dio col vincolo della fede!
Quando sono ai piedi della mangiatoia, essi non pensano di dovere più lasciare il loro Dio. Sono come un bambino che debba separarsi da un buon padre, che ritarda ed esita sempre, pur di trovare un pretesto per prolungare la sua felicità. Man mano che si avvicina il tempo della partenza, colano le lacrime e il cuore s'infrange.
Lo stesso fanno i santi Re. Arrivato il tempo di lasciare la mangiatoia, piangevano a calde lacrime, sembravano essere avvinti da catene.
Da una parte, si sentivano spinti dalla carità, ad andare ad annunciare in tutto il loro regno questa felicità; dall'altra, erano obbligati a separarsi da Colui che erano venuti a cercare da così lontano, e che avevano trovato dopo tante difficoltà. Si guardavano l'un l'altro per vedere chi sarebbe partito per primo.
Ma l'angelo dice loro che bisognava partire, bisognava andare ad annunciare questa felice notizia ai popoli dei loro regni, ma senza tornare da Erode, perchè, se Erode aveva detto loro di prendere tante precauzioni, di informarsi bene per indicargli il luogo della nascita, era solo per farlo morire; quindi bisognava cambiare rotta.
E' questa una bella immagine di un peccatore convertito, che ha abbandonato il peccato per darsi a Dio: non deve più ripercorrere il luogo che aveva percorso prima (di convertirsi, n.d.a.).
Queste parole dell'angelo li colpirono col più vivo dolore. Per timore di avere la sfortuna di divenire complici della morte di Lui, appena si furono congedati da Gesù, da Maria e da Giuseppe, partono il più segretamente possibile; non seguono la strada principale, per paura di generare qualche sospetto. Invece di andare a dormire negli alberghi, trascorrono le notti ai piedi degli alberi, negli anfratti delle rocce, e percorrono molti chilometri in questo modo.

Sono appena giunti nel loro paese, che annunciano a tutti i loro principati il loro progetto di lasciare e abbandonare tutto ciò che possedevano, non potendo rassegnarsi a possedere alcunchè, dopo aver visto il loro Dio in una così grande povertà, e che si ritenevano infinitamente felici di poterlo imitare almeno in questo.
Trascorrono le notti in preghiera, e i giorni, a passare per le case, di città in città, per rendere tutti partecipi della felicità che avevano nel cuore, di tutto quello che avevano visto in quella stalla, delle lacrime che quel Dio appena nato, aveva già versato per piangere sui loro peccati.
Applicavano dolorose penitenze sui loro corpi; sembravano tre angeli, che percorrevano le province del loro paese, per preparare le vie del Signore; non riuscivano a parlare del dolce Salvatore, senza versare continue lacrime, e ogni volta che si intrattenevano insieme su quel felice momento trascorso nella stalla, sembrava loro di morire d'amore. Oh! non avrebbero potuto, forse, fratelli miei, dire come i discepoli di Emmaus: «I nostri cuori, non erano tutti ardenti d'amore, mentre eravamo prostrati ai suoi piedi, in quel povero ricovero di miseria?».
Ah! se avessero avuto la fortuna, che noi ora abbiamo, di poterlo accogliere nel loro cuore (mediante l'Eucaristia), non si sarebbero forse messi a gridare, con lo stesso trasporto d'amore, che avrà in seguito san Francesco: «O Signore, diminuisci il tuo amore oppure accresci le mie forze, perchè non riesco a contenermi?». Oh! con quanta cura lo avrebbero custodito? Se avessero detto loro che con un solo peccato (mortale)lo avrebbero perso, non avrebbero forse preferito morire cento volte, pittosto che attirarsi una simile disgrazia? Oh! quanto furono pure ed edificanti le loro vite, durante i novantaquattro anni (?)in cui vissero dalla nascita del Salvatore!
Si racconta che l'apostolo san Tommaso, dopo l'Ascensione del Salvatore, andò ad annunciare il Vangelo nel loro paese. Li trovò tutti e tre. Da quando erano usciti dalla stalla, non avevano cessato di diffondere la fede nel loro paese. San Tommaso fu rapito nel vederli così ricolmi dello Spirito di Dio, e già saliti ad un grado così alto di santità. Egli trovò i cuori degli abitanti già predisposti a ricevere la grazia della salvezza, per la cura che si erano preso, di loro, i santi Re.
Egli raccontò loro tutto ciò che il Salvatore aveva fatto e sopportato, dopo che essi avevano avuto la felicità di vederlo nella mangiatoia, che Egli era vissuto fino all'età di trent'anni, lavorando nel completo anonimato, che era stato sottomesso alla santa Vergine e a san Giuseppe, i quali erano vissuti accanto a Lui, e che san Giuseppe era morto molto tempo prima di Lui; ma che la santa Vergine viveva ancora, ed era un discepolo di Gesù che si prendeva cura di lei.
Raccontò loro che il Salvatore aveva sofferto, durante i tre ultimi anni della sua vita, tutto quello che si sarebbe potuto far soffrire al più grande criminale del mondo; che, quando aveva cominciato ad annunciare che era venuto a salvarli, che era il Messia atteso da tanti secoli, che stava insegnando loro ciò che bisognava fare, per trarre profitto dalle grazie che donava loro, lo cacciavano dalle riunioni a colpi di pietre.
Egli aveva percorso molti paesi, guarendo i malati che gli venivano presentati, risuscitando i morti e guarendo le persone possedute dal demonio.
La causa della sua morte era stato uno di coloro che aveva scelto per annunciare il Vangelo, il quale, dominato dall'avarizia, lo aveva venduto per trenta denari.
Lo avevano legato come un criminale, attaccato a una colonna, dove era stato flagellato in un modo così crudele, che non era più riconoscibile.
Era stato trascinato per le vie di Gerusalemme, carico di una croce, che lo faceva cadere ad ogni passo; il suo sangue arrossava le pietre su cui passava, e, ogni volta che cadeva, gli aguzzini lo rialzavano a colpi di calci e di bastoni; poi avevano finito per crocifiggerlo, ed Egli, ben lontano dal vendicarsi per tutti questi oltraggi, non aveva smesso di pregare per loro; infine, era spirato su quella croce, mentre i passanti e i Giudei, lo riempivano di maledizioni.
Ma poi, tre giorni dopo, era risuscitato, come Lui stesso aveva predetto, e quaranta giorni dopo, era salito al cielo.
Tommaso ne era stato testimone, come anche gli altri apostoli, che avevano seguito Gesù, nella sua missione.

Ascoltando il racconto di tutto quello che il Salvatore aveva sofferto, i santi Re sembrava che non potessero più vivere. “Lo hanno fatto morire questo tenero Salvatore, esclamavano! Ah! come hanno potuto essere così crudeli? E Lui li ha anche perdonati! Oh! quanto è buono! Oh! quanto è misericordioso!
E non potevano trattenere nè le loro lacrime, nè i loro singhiozzi, tanto erano penetrati dal dolore. San Tommaso li battezzò, li ordinò sacerdoti e li consacrò vescovi, affinchè avessero maggiori poteri per diffondere la fede, dopo la loro consacrazione.
Essi erano così animati dall'amore di Dio, che gridavano a tutti coloro che incontravano: “Venite, fratelli, venite, e noi vi diremo che cosa ha sofferto quel Messia, che abbiamo visto tempo fa in quella mangiatoia.
Ad ogni istante, sembrava loro di essere rapiti verso il cielo, tanto era l'amore di Dio che infiammava il loro cuore. Tutta la loro vita fu un susseguirsi di miracoli e di conversioni.
Poichè durante la loro vita erano rimasti uniti in maniera così intima, Dio permise che fossero sotterrati nella stessa tomba. Il primo che morì fu messo dalla parte destra, ma, alla morte del secondo, che volevano mettere affianco all'altro, il primo gli cedette il suo posto; infine, quando venne il turno dell'ultimo, i due che erano morti prima, si scostarono per fargli posto al centro, poichè era più degno di loro, avendo lavorato più a lungo per il Salvatore (si tratta di notizie leggendarie, che il santo aveva letto in un libro del P. Giry, nella sua opera: Vie des Saints).
Erano così ricolmi dell'umiltà del loro Maestro, che lo dimostrarono perfino dopo la loro morte. Dal momento della loro vocazione alla fede, erano cresciuti sempre di più nella virtù e nell'amore di Dio!
Oh! quanto saremmo felici, fratelli miei, se seguissimo le tracce dei nostri padri nella fede, i quali ritenevano che tutto ciò che facevano era niente!
Che cosa dobbiamo fare, fratelli miei, per testimoniare a Dio la nostra riconoscenza per averci dato dei mezzi così facili per salvarci? Dovremmo essergliene riconoscenti.
Se nel mondo, il minimo servizio non viene pagato, siamo portati a mormorare; come, allora, dovrà Dio giudicare la nostra ingratitudine?
Mosè, prima di morire, fa radunare tutto il popolo giudeo attorno a lui, e gli racconta tutti i benefici di cui il Signore non aveva mai cessato di colmarli, aggiungendo che, se il popolo non fosse stato riconoscente, si sarebbe dovuto attendere i più grandi castighi; ed è ciò che gli è successo, essendo stato abbandonato completamente da Dio!
Ahmè! fratelli miei, i benefici di cui Dio ci ha colmati, sono ancora più preziosi di quelli dei Giudei!
Oh! se poteste interrogare i vostri antenati, e comprendere per quale via siete giunti al battesimo, per quale via la Provvidenza vi ha condotti, fino a quel felice momento in cui siete stati rivestiti del dono prezioso della fede!
Dopo avervi evitato tutti i pericoli e gli incidenti che avrebbero potuto soffocarvi nel seno delle vostre mamme, come tanti altri, il Signore, non appena siete venuti alla luce, vi ha accolto fra le sue braccia dicendovi: “Voi siete i miei figli prediletti”. Da quel momento Egli non vi ha più perso di vista.
Nella misura in cui la vostra ragione si è sviluppata, le vostre madri, i vostri padri e i vostri pastori, non hanno cessato di annunciarvi i benefici che il Salvatore ci promette, se lo serviamo.
Egli non ha cessato di vegliare sulla vostra incolumità, come sulla pupilla del suo occhio.
Lo Spirito Santo ci dice che il Signore, facendo uscire il suo popolo dall'Egitto, e conducendolo nella Terra promessa, si paragona a “un'aquila che vola attorno ai suoi piccoli, per incitarli a volare, li prende e li porta sulle sue ali” (Esodo 19,4). Ecco, precisamente, fratelli miei, quello che Gesù Cristo fa per noi. Egli stende le sue ali, cioè le sue braccia sulla croce, per accoglierci e per stimolarci, con i suoi insegnamenti e i suoi esempi, a distaccarci da questo mondo e ad elevarci con Lui fino al cielo.
La Sacra Scrittura ci dice che gli Israeliti furono stabiliti da Dio, per un favore singolare della sua bontà, nel paese di Canaan, per succhiarvi il miele così eccellente che trovavano nei fori delle rocce, per nutrirsi del più puro fiore di frumento, e per bere il vino più squisito.
Sì, tutto questo non è che una pallida immagine dei beni spirituali dei quali possiamo saziarci nel seno della Chiesa.
Non è forse nelle piaghe di Gesù Cristo (= i fori delle rocce n.d.a.), che troviamo le più grandi consolazioni? Non è forse nei sacramenti, che ci dissetiamo di questo vino così delizioso, la cui dolcezza e forza inebriano le nostre anime?

Che cosa Dio poteva fare di più per voi? Quando il profeta Natan fu inviato a Davide, per riprenderlo per il suo peccato, gli disse: «Ascolta, o re, ecco che cosa dice il Signore: ti ho salvato dalle mani di Saul, per farti regnare al suo posto; ti ho dato tutti i beni e tutte le ricchezze della casa di Giuda e d'Israele, e, se questo ti sembra poco, sono pronto a darti ancora di più».
Ma a noi, fratelli miei, che cosa potrebbe dare di più, avendoci fatti partecipi di tutti i suoi tesori? Fratelli miei, qual'è la nostra riconoscenza, o piuttosto, quale disprezzo e quale abuso, noi ne facciamo?
Quale uso, quale importanza noi diamo alla Parola di Dio, che ci viene annunciata così frequentemente? Oh! quanti infelici, che non conoscono Gesù Cristo! ai quali questa Parola santa non è stata mai annunciata, e che diventerebbero dei grandi santi, se avessero solo le briciole di questo pane consacrato, che non cessa di esservi prodigato, e che voi lasciate perdere!
Quale uso facciamo della confessione, nella quale Dio ci mostra quanto sia grande la sua misericordia dove è sufficiente far conoscere le ferite della propria anima, per esserne guariti?
Ahimè! la maggio parte disprezza questa medicina, e gli altri vi si accostano il più raramente possibile.
Quale uso facciamo della santa comunione e della santa messa? Se esistesse in tutto il mondo cristiano una sola chiesa dove si celebrasse questo augusto mistero, dove si consacrasse e fosse permesso visitare e ricevere il sangue prezioso di Gesù Cristo, noi nutriremmo senza dubbio, fratelli miei, una santa invidia, verso coloro che abitassero alle porte di quella chiesa, che potessero visitarlo e riceverlo tutte le volte che lo volessero.
Fratelli miei, siamo noi questo popolo prescelto, noi abitiamo presso le porte di questo luogo così santo, così puro, dove Dio si immola ogni giorno. Quale uso facciamo di questa opportunità?
Quando Dio verrà a giudicare il mondo, un giudeo, un idolatra, un musulmano, potrà dire: Oh! se avessi avuto la fortuna di vivere nel seno della chiesa cattolica, se fossi stato cristiano, se avessi posseduto le grazie che aveva questo popolo eletto, sarei sicuramente vissuto in un altro modo.
Sì, fratelli miei, noi abbiamo queste grazie e questi favori di predilezione. Ma, ancora una volta, quale uso ne facciamo, dov'è la nostra riconoscenza? No, fratelli miei, no, la nostra ingratitudine non resterà impunita; Dio ci toglierà, nella sua collera, questi beni dei quali facciamo così poco conto, o piuttosto, che disprezziamo, e che facciamo perfino servire per il peccato.
Non dico, fratelli miei, che le siccità, le inondazioni, la grandine, le tempeste, le malattie e tutti i flagelli della sua giustizia, si riverseranno su di noi: tutto questo non è niente, sebbene tutto questo sia una parte della punizione per la nostra ingratitudine.

Ma verrà un tempo nel quale Dio, vedendo il disprezzo che facciamo, del dono prezioso che ci è stato trasmesso dai nostri padri nella fede, questo ci verrà tolto, per essere dato ad altri.
Ahimè! fratelli miei, non siamo stati prossimi a perdere la nostra fede, in questo tempo infelice che abbiamo visto passare da poco? Non è forse un avvertimento, per mezzo del quale, Dio sembrava dirci che, se non ne faremo un uso migliore, essa ci verrà tolta?
Questo solo pensiero, fratelli miei, non dovrebbe farci tremare e raddoppiare le nostre preghiere e le nostre buone opere, affinchè Dio non ci privi di questa felicità?
Non dovremmo, come i Magi, essere pronti a sacrificare tutto, piuttosto che perdere questo tesoro?
Sì, fratelli miei, imitiamo i Magi. E' per mezzo di essi che Dio ci ha trasmesso la fede. E' in essi che troveremo il modello più completo di una fede viva, generosa e perseverante. Uniti con lo spirito e con il cuore ai santi re Magi, andiamo, fratelli miei, da Gesù Cristo, e adoriamolo come nostro Re. Presentiamogli l'incenso di una preghiera fervorosa, la mirra di una vita penitente e mortificata, l'oro di una carità pura; oppure, facciamogli, come i Magi, una offerta totale di tutto quello che abbiamo e di tutto ciò che siamo; e non soltanto Dio ci conserverà questo deposito prezioso della fede, ma ce la renderà ancora più viva, e, con questo mezzo, piaceremo a Dio, e ci assicureremo una felicità che non finirà mai.
E' ciò che vi auguro.