L'Ascensione

Per il giorno dell'Ascensione
L'Ascensione
«Rallegratevi, fate esplodere la vostra gioia, perchè una grande ricompensa vi è promessa nel Cielo»
(Matteo 5,12)

Tali furono, fratelli miei, le consolanti parole che Gesù Cristo indirizzò ai suoi apostoli, per consolarli e animarli a soffrire coraggiosamente le croci e le persecuzioni che dovevano accadere ad essi.

«Sì, figli miei, dice loro questo tenero Padre, voi diverrete l'oggetto dell'odio e del disprezzo dei malvagi, sarete le vittime del loro furore, gli uomini vi odieranno,vi condurranno davanti ai principi della terra, per essere giudicati e condannati ai supplizi più spaventosi, alla morte più crudele, la più vergognosa; ma, ben lungi dallo scoraggiarvi, rallegratevi, perchè una grande ricompensa vi è riservata nel Cielo» (Matteo, passim).

O bel Cielo! chi potrebbe non amarti, dal momento che tanti beni sono racchiusi in te!

Non fu forse, fratelli miei, il pensiero di questa ricompensa, che rendeva gli apostoli infaticabili nelle loro fatiche apostoliche, invincibili contro le persecuzioni che ebbero a soffrire da parte dei loro nemici?

Non era forse il pensiero di questo bel Cielo, che faceva comparire i martiri davanti ai loro giudici, con un coraggio che meravigliava i tiranni?

Non era forse la vista di un tale oggetto (il Cielo) che spegneva l'ardore delle fiamme destinate a divorarli, e che smussava il filo delle spade che li colpivano?

Oh! come si ritenevano felici di sacrificare i loro beni, la loro vita, per il loro Dio, nella speranza che sarebbero passati a miglior vita, che non finirebbe mai?

O felici abitanti della città celeste, quante lacrime avete versato e quante sofferenze avete sopportato, per guadagnarvi il possesso del vostro Dio!

«Oh! ci gridano essi dal loro trono di gloria dove sono seduti, oh! come Dio ci ricompensa per quel po' di bene che abbiamo fatto!

Sì, noi lo vedremo questo tenero Padre; sì, noi lo benediremo, questo amabile Salvatore; sì, noi lo ringrazieremo, questo amabile Redentore, per anni senza fine!

O gloriosa eternità! essi gridano, quante dolcezze e quante gioie ci fai provare! Bel Cielo, quando ti vedremo? O glorioso momento, quando arriverai?».

Senza dubbio, fratelli miei, noi desideriamo e sospiriamo dietro a questi grandi beni; ma per farveli desiderare con ancora maggior ardore, vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile, la felicità della quale i santi sono ebbri, e in seguito, la strada che bisogna intraprendere per arrivarci.

Se io dovessi, fratelli miei, farvi il triste e deplorabile quadro delle pene che subiscono i dannati negli abissi, comincerei a dimostrarvi la certezza di queste pene; in seguito dispiegherei davanti ai vostri occhi, con tremore, o, per meglio dire con una specie di disperazione, la grandezza e la durata dei mali che soffrono e che soffriranno eternamente.

A questo racconto pietoso, vi sentireste invasi da orrore, e per farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quali siano le cause che possono così vivamente divorare le loro anime per la disperazione e l'orrore.

Ve ne sono quattro, vi dico, che sono: la privazione della visione di Dio, il dolore che ne provano, la certezza che hanno, che esso non finirà mai, e il rimpianto per i mezzi che avevano avuto a disposizione, attraverso i quali si sarebbero potuti facilmente esimere; tutti questi saranno come altrettanti aguzzini che li divoreranno per una intera eternità.

Infatti, se anche un dannato domandasse per mille eternità, ammesso che ce ne potessero essere mille, con le urla più strazianti e più commoventi, la felicità di poter vedere Dio per un solo minuto, è certo che ciò non gli verrebbe mai accordato.

In secondo luogo, io affermo che, ad ogni istante, egli soffre di più di quanto non abbiano mai sofferto tutti i martiri messi insieme, o, per meglio dire, egli sopporta, ad ogni minuto di eternità, le sofferenze che dovrà soffrire in tutta l'eternità, considerata nel suo insieme (tutti i santi che lo hanno sperimentato in visione, sono d'accordo col curato, a parte il suo solito estremismo espressivo e caratteriale; n.d.a.).

La terza causa dei loro supplizi è che, malgrado il rigore delle loro pene, sono sicuri che esse non avranno mai fine.

Ma ciò che costituirà il colmo dei loro tormenti, della loro disperazione, è il fatto che essi vedranno tanti mezzi molto facili, che avevano avuto a disposizione, non soltanto per evitare tutti questi orrori, ma anche per essere felici per tutta l'eternità.
Essi vedranno senza sosta tutte le grazie che Dio aveva offerto loro per salvarsi, e questo sarà come tanti aguzzini che li divoreranno.

Dal fondo delle fiamme, essi vedranno i beati, seduti sui loro troni di gloria, rapiti da un amore ardente e così tenero, che saranno in una continua ebbrezza.
Quanto a loro, il pensiero delle grazie che Dio gli aveva offerto, il ricordo del disprezzo che essi ne hanno fatto, faranno emettere loro delle urla di rabbia e di disperazione, così spaventose, che l'universo intero, se Dio permettesse che fossero percepite, perderebbe l'esistenza e cadrebbe nel nulla.

Da qui scaturiranno le bestemmie più orribili, che essi vomiteranno gli uni verso gli altri.
Un figlio griderà che se egli si è perduto, è stato perchè i suoi genitori lo hanno voluto; egli invocherà la collera di Dio, e gli chiederà, con le grida più orribili, di accordargli di poter essere il carnefice di suo padre.

Una figlia, strapperà gli occhi a sua madre che, invece di condurla in Cielo, l'ha spinta, l'ha trainata nell'inferno con i suoi cattivi esempi, con delle parole che respiravano solo mondanità, con il suo libertinaggio.

Questi figli vomiteranno delle bestemmie orribili contro Dio, perchè sembra non avere abbastanza potenza e furore, per far soffrire di più i loro genitori; essi correranno per gli abissi come dei disperati, per afferrare e trascinare i demoni, e per gettarli sui loro padri e sulle loro madri, per far sentire loro che giammai saranno abbastanza tormentati per averli fatti perdere, mentre avrebbero potuto benissimo salvarli.

O eternità infelice! o sciagurati padri e madri, come sono orribili i tormenti che vi sono riservati!
Ancora un istante e li proverete, ancora un istante e brucerete tra le fiamme!...

Ma no, fratelli miei, non andiamo oltre; non è il momento di intrattenerci su un oggetto così triste e così disgraziato; non turbiamo la gioia che abbiamo sentito all'avvicinarsi di un giorno consacrato a mostrare la gioia della quale gioiscono gli eletti, nella città celeste e imperitura.

Vi ho detto prima, fratelli miei, che quattro cose seppelliranno di mali i dannati tra le fiamme; allo stesso modo, riguardo ai beati, vi dirò che quatro cose si uniscono insieme, per non lasciare nulla da desiderare, oltre ciò.
Queste cose sono:
1°- La visione della Presenza del Figlio di Dio, che si manifesterà in tutto lo splendore della sua Gloria, della sua Bellezza, e di tutta la sua amabilità, e cioè così com'è nel seno del Padre;
2°- il torrente di dolcezza e di casti piaceri che essi proveranno, che sarà simile allo straripamento di un mare agitato, per i furori di una terribile tempesta; esso li trasporta tra i suoi flutti, e li immerge in una ebbrezza così estasiante, che dimenticano perfino di esistere.
3°- la terza causa della loro felicità, nel mezzo di tutte queste delizie, è la certezza che esse non finiranno mai;
4°- e, infine, ciò che finirà con l'annegarli in questi torrenti d'amore, è il fatto che tutti questi beni sono donati loro come ricompensa delle virtù e delle penitenze che hanno fatto.
Queste anime sante vedranno che è a causa delle loro buone opere, che esse sono debitrici dei casti abbracci del loro Sposo.

Io dico anzitutto che il primo trasporto d'amore che si impadronirà del loro cuore, sarà la vista delle bellezze che scopriranno all'avvicinarsi della Presenza di Dio.

In questo mondo, per quanto bello e affascinante possa essere l'oggetto che si presenta a noi, dopo un istante di piacere, il nostro spirito si stanca e si gira da un'altra parte, se trova lì di che soddisfarsi; egli va da una cosa all'altra, senza poter trovare di che accontentarsi.

Ma in Cielo non è la stessa cosa; bisogna, al contrario, che Dio ci renda partecipi delle sue forze, perchè possiamo sostenere lo splendore delle sue bellezze e delle cose tenere ed estasianti che si offrono continuamente ai nostri occhi; e questo getta le anime degli eletti in un tale abisso di dolcezza e d'amore, che esse non possono distinguere se sono vive, o se si sono trasformate in puro amore.
Oh! felice dimora! O eterna felicità! chi di noi potrà gustarti un giorno?

In secondo luogo io affermo che, per quanto grandi ed estasianti siano queste dolcezze, noi sentiremo continuamente gli angeli che canteranno che esse dureranno per sempre.
Vi lascio immaginare ciò che gli eletti sperimentano in tutto ciò.

In terzo luogo, in questo mondo, se gustiamo qualche piacere, non tardiamo a sentirne qualche pena, che ne attenua la dolcezza, sia per il timore che abbiamo di poterlo perdere, sia anche per le cure che bisogna prenderne, per conservarlo: e tutto questo fa in modo che non siamo mai perfettamente contenti.
Nel Cielo, non è così; noi siamo nella gioia e nelle delizie, e siamo sicuri che mai nulla potrà rapircele nè diminuirle.

In quarto luogo, io dico che l'ultimo tratto d'amore da cui il nostro cuore sarà trafitto, è il quadro che Dio metterà davanti ai nostri occhi, di tutte le lacrime che avremo versate e di tutte le penitenze che avremo fatte, durante la nostra vita, senza che sfugga neppure un buon pensiero o un buon desiderio.

Oh! quale gioia per un buon cristiano, che vedrà il disprezzo che ha provato verso se stesso, le durezze che ha esercitato sul suo corpo, il piacere che provava nel vedersi disprezzato!
Egli vedrà la sua fedeltà nel rigettare tutti quei cattivi pensieri, con i quali il demonio aveva cercato di insozzare la sua immaginazione; si ricorderà delle sue preparazioni per le confessioni, della sua prontezza nel nutrire la sua anima alla tavola santa; egli avrà davanti agli occhi tutte le volte che si è spogliato, per coprire il suo fratello povero e sofferente.

«O mio Dio! O mio Dio! griderà ad ogni istante, quanti beni ricevo per quelle poche cose!».

Ma Dio, per infiammare gli eletti con l'amore e la riconoscenza, piazzerà la sua croce sanguinante in mezzo al loro cuore, e farà loro la descrizione di tutte le sofferenze che ha sopportato, per renderli felici, guidato solo dal suo amore.

Vi lascio immaginare quale sarà il loro trasporto d'amore e di riconoscenza, quali casti abbracci non vorranno prodigargli per tutta l'eternità, ricordandosi che quella croce è lo strumento di cui Dio si è servito per donare loro tanti beni!

I santi padri, facendoci la descrizione delle pene che subiscono i dannati, ci dicono che ciascuno dei loro sensi è tormentato, secondo i crimini che hanno commessi, e i piaceri che hanno gustato: una persona che avrà avuto la disgrazia di abbandonarsi al vizio impuro, sarà coperta di serpenti e di dragoni, che la divoreranno per l'eternità; i suoi occhi, che hanno avuto degli sguardi disonesti, le sue orecchie, che avranno preso gusto ad ascoltare canzoni e discorsi impudichi, la sua bocca, che avrà vomitato impudicizie, saranno come altrettanti canali dai quali usciranno vortici di fiamme che li divoreranno; i loro occhi vedranno gli oggetti più orribili.

Un avaro sentirà una fame tale, da divorare se stesso; un orgoglioso sarà calpestato sotto i piedi degli altri dannati, un vendicativo sarà trascinato dai demoni nelle fiamme.
No, fratelli miei, non ci sarà nessuna parte del nostro corpo che non soffrirà, in proporzione ai crimini che avrà commessi.
O orrore! O infelicità spaventosa!... ( il curato, figlio della sua epoca, si serve della legge “fisica” del contrappasso, di biblica - Libro della Sapienza -, e dantesca memoria, per descrivere le pene corporali che i dannati soffriranno, in quanto la sofferenza dell'inferno riguarderà non solo le anime ma anche i corpi, dopo la risurrezione finale; in realtà, le pene saranno molto più grandi e raffinate, di quelle qui descritte...; n.d.a.).

Parallelamente, io dico che, riguardo alla felicità degli eletti nel Cielo, accadrà la stessa cosa: la loro felicità, i loro piaceri e le loro gioie, saranno grandi, in proporzione di quello che avranno fatto soffrire al loro corpo, durante la loro vita.

Se abbiamo avuto orrore delle canzoni e dei discorsi infami, noi ascolteremo soltanto, in Cielo, cantici teneri ed estasianti, di cui gli angeli faranno riecheggiare la volta celeste; se saremo stati casti nei nostri sguardi, i nostri occhi saranno occupati a contemplare soltanto degli oggetti, la cui bellezza li terrà in un rapimento continuo, senza mai cessare: cioè scopriremo ogni giorno bellezze sempre nuove, simili a una sorgente d'amore che scrorre senza sosta.

Il nostro cuore che avrà emesso gemiti, che avrà pianto durante il suo esilio, proverà una tale ebbrezza di dolcezza, che perderà la coscienza di sè.
Lo Spirito Santo ci dice che i casti saranno simili a una persona coricata su un letto di rose, il cui profumo la tiene in una continua estasi.
Per meglio dire, saranno piaceri casti e puri, quelli di cui saranno nutriti e inebriati per l'eternità.

«Ma, pensate tra voi, quando saremo in Cielo, noi saremo tutti felici allo stesso modo».
Sì, amico mio, ma c'è da fare qualche distinzione.
Se i dannati sono infelici, e soffrono secondo i crimini che hanno commessi, allo stesso modo, non si deve dubitare, che quanto più i santi hanno fatto penitenza, più la loro gloria sarà splendida; ed ecco come ciò accadrà.

E' necessario, o piuttosto è conveniente, che Dio ci dia delle forze proporzionate allo stato di gloria del quale vuole circondarci, di modo che Egli ci darà le forze, in proporzione alle dolcezze che ci vuol fare sperimentare.

A coloro che hanno fatto grandi penitenze, senza aver commesso grossi peccati, Egli donerà forze sufficienti a sostenere le grazie che comunicherà loro, per tutta l'eternità.
E' verissimo, però, che tutti saremo molto felici e contenti del tutto, perchè troveremo delizie tali da non lasciarci desiderare nulla di più.
«O mio Dio! Mio Dio! grida san Francesco di Sales, in una furiosa tentazione che sperimenta, i tuoi giudizi sono spaventosi; ma se io fossi così disgraziato da non poterti amare per l'eternità, ah! almeno accordami la grazia di amarti il più possibile in questo mondo».

Ah! se almeno, poveri peccatori che non volete ritornare al vostro Dio, se almeno aveste lo stesso desiderio di questo grande santo, cioè di poter amare il buon Dio, meglio che potete, in questa vita!
O mio Dio! quanti cristiani che mi ascoltano non ti vedranno mai!
O bel Cielo! o bella dimora! quando ti vedremo?
O mio Dio! fino a quando ci lascerai languire in questa terra straniera? in questo esilio?...
«Ah! se voi vedeste Colui che il mio cuore ama! ah! ditegli che languisco d'amore, che io non vivo più, ma che muoio ogni momento!...
Oh! chi mi darà ali come di colomba, per abbandonare quest'esilio e volare nel seno del mio diletto?...
Oh! città felice da dove sono bandite tutte le pene, e dove si nuota in un torrente delizioso, di amore eterno!...» (collage di testi biblici sapienziali; il santo ritorna spesso sull'esperienza amorosa, che è l'essenza della beatitudine eterna; n.d.a.).

Ebbene, amico mio, ti darebbe fastidio essere nel numero di costoro, mentre i dannati bruceranno, e lanceranno urla terribili, senza mai sperare una fine?
«Oh! mi risponderai, non soltanto non mi infastidirebbe, ma vorrei già esserci».
Sapevo bene che avresti risposto così; ma più che desiderarlo, devi faticare per meritarlo.
«Ebbene! che devo fare?».
Dunque non lo sai, amico mio? ebbene! ecco: ascoltalo bene e lo saprai.

Non dovresti attaccarti molto ai beni di questo mondo, dovresti avere un po' più di carità verso tua moglie, verso i tuoi figli, i tuoi domestici e i tuoi vicini; avere un cuore un po' più tenero verso gli infelici; invece di non pensare ad altro che ad ammucchiare denaro, ad acquistare nuove terre, dovresti pensare a guadagnarti un posto nel Cielo; invece di lavorare di domenica, dovresti santificarla venendo nella casa di Dio, per piangervi i tuoi peccati, e per chiedergli di non ricaderci mai più, e di perdonarti; ben lungi dal non concedere ai tuoi figli e ai tuoi domestici il tempo di adempiere ai loro doveri religiosi, tu dovresti essere il primo a portarceli, sia con le parole che con i tuoi buoni esempi; invece di arrabbiarti per la minima perdita o contraddizione che ti arriva, dovresti considerare che, essendo peccatore, meriteresti molto di più, e che Dio si comporta verso di te nella maniera più sicura per renderti felice, un giorno.
Ecco, amico mio, ciò che dovresti fare per andare in Cielo, ma che tu non fai.

«No, mi dirai».
E allora che ne sarà di te, fratello mio, dal momento che stai percorrendo la strada che conduce in un luogo dove si soffrono i mali più terribili?

Stai attento che se non lasci questa strada, non tarderai a caderci; fai le tue riflessioni, e in seguito mi dirai cosa hai scoperto, e io ti indicherò cosa dovresti fare.
Non è vero, amico mio, che tu nutri invidia verso questi felici abitanti della corte celeste?
«Ah! vorrei esservi già; almeno mi sarei liberato di tutte le miserie di questo mondo».
Anch'io lo vorrei, ma il fatto è che bisognerebbe pensare e fare ben altro.
«Che cosa dunque occorre fare? Io lo farò».
I tuoi pensieri sono molto buoni; ebbene! ascoltami un istante e te lo mostrerò. Non dormire, per favore.

Bisognerebbe, sorella mia, che tu fossi un po' più sottomessa a tuo marito, non lasciarti salire il sangue alla testa, per un nonnulla; dovresti prevenirlo un po' di più, e, quando lo vedi ritornare ubriaco, oppure dopo aver concluso qualche brutto affare, non dovresti scatenarti contro di lui, fino a farlo imbestialire, senza più potersi controllare.

Da questo scaturiscono le bestemmie e le maledizioni senza numero contro di te, che scandalizzano i tuoi figli e i tuoi domestici; ben lungi dal passare di casa in casa, per raccontare quello che tuo marito ti dice o ti fa, dovresti impiegare quel tempo nella preghiera, per domandare al buon Dio di donarti la pazienza e la sottomissione che devi a tuo marito; chiedere che Dio gli tocchi il cuore, per cambiarlo.

Ora ti dirò che cosa dovresti ancora fare per andare in Cielo: madre mia, ascoltalo bene e non ti sarà inutile.
Dovresti dedicare più tempo a istruire i tuoi figli e i tuoi domestici, a insegnare loro che cosa devono fare per andare in Cielo; non dovresti affatto comprare loro tanti abiti lussuosi, per avere di che fare l'elemosina, e attirarti le benedizioni di Dio, e, forse, per risparmiare e poter pagare i tuoi debiti; dovresti mettere da parte le vanità e, che ne so, non dovrebbe esserci nelle tua condotta, nient'altro che buoni esempi, l'abitudine di fare le tue pregheire mattina e sera, di prepararti alla santa comunione, ad accostarti ai sacramenti; ci vorrebbe un distacco dai beni del mondo, un modo di parlare che lasci trasparire il disprezzo che tu hai per tutte le cose di quaggiù e la stima che nutri per le cose dell'altra vita.

Ecco quali dovrebbero essere le tue occupazioni e tutte le tue cure; se ti comporti diversamente, tu sarai perduta; pensaci bene oggi, perchè forse domani non ne avrai il tempo; fai il tuo esame su quelle cose che ti ho detto, e in seguito giudicati da sola; piangi le tue colpe, e cerca di comportarti meglio, altrimenti in Cielo non ci andrai mai.

Non è forse vero, sorella mia, che tutte quelle estasianti bellezze, di cui i santi sono inebriati, ti fanno invidia?
«Ah! mi risponderai, invidierei anche una felicità meno grande di quella!».
Hai sicuramente ragione, anch'io, credo farei come te; ma, ciò che mi provoca inquietudine, è il fatto che io non sto facendo niente per meritarla; anche tu sei nelle mie stesse condizioni?

«Qualunque cosa bisognasse fare, stai pensando, io la farei di certo, se lo sapessi; cosa non si farebbe per procurarsi tanti beni?
Anche se fosse necessario lasciare tutto e sacrificare tutto, o perfino abbandonare il mondo per trascorrere il resto dei miei giorni in monastero, lo farei ben volentieri».

Molto bene, questi pensieri sono molto degni di una buona cristiana; non avrei mai creduto che il tuo coraggio fosse così grande; ma ti dirò che Dio non chiede tanto.
«Ebbene! penserai,dimmi ciò che bisogna fare e lo farò molto volentieri».
Te lo dirò, dunque, e ti prego di fare molta attenzione.

Non dovresti prenderti tanta cura del tuo corpo, ma farlo soffrire un po' di più; non avere tanta paura che la tua bellezza si perda o diminuisca; non andare tanto per le lunghe, la domenica mattina, nel sistemarti, nel mirarti davanti allo specchio, in modo da avere più tempo da dedicare al buon Dio.
Dovresti soltanto avere un po' più di sottomissione verso i tuoi genitori, ricordandoti che, presso Dio, è a loro che devi la vita, e che devi obbedire loro di buon cuore, e non mormorando.
Dovresti anche, invece di farti vedere nei divertimenti, nelle danze e negli appuntamenti, farti vedere di più nella casa del Signore, per pregarlo, per purificarti dei tuoi peccati, e per nutrire la tua anima con il pane degli angeli.
Dovresti anche essere un po' più riservata nelle parole, un po' più riservata nell'intrattenerti con le persone di altro sesso.

Ecco, solamente, ciò che Dio richiede da te; se lo farai, andrai in Cielo (da notare quel “un po'” che ritorna come un ritornello nelle raccomandazioni del curato, segno della necessità che il progresso spirituale non sia repentino e radicale, “alla francese”, insomma, perchè poi risulterebbe effimero e precario, ma che sia lento, graduale, e quindi durevole; n.d.a.).

E tu, fratello mio, che cosa pensi di tutto ciò?
Da quale parte indirizzi i tuoi desideri?
«Ah! tu dici, io preferirei molto meglio andare in Cielo, perchè vi si sta tanto bene, piuttosto che essere gettato all'inferno dove si soffre tanto, e ogni genere di tormenti; ma il fatto è che c'è parecchio da fare per entrarci, e questo mi scoraggia molto.
Se un solo peccato ci condanna, io che monto in collera ogni momento, non oso neppure iniziare!».

Non osi iniziare? Vuoi ascoltarmi un momento, e ti mostrerò chiaramente che non è poi così difficoltoso, come tu sembri credere, e che proveresti una pena minore per piacere a Dio e per salvare la tua anima, di quanta ne provi per procurarti i piaceri e per accontentare il mondo.
Devi solo indirizzare verso Dio le sollecitudini e le pene che hai speso per il mondo, e ti accorgerai che Egli non chiede tanto quanto ti chiedeva il mondo.

I tuoi piaceri sono sempre mescolati di tristezza e di amarezza, e in più sono seguiti dal rimorso per averli gustati.
Quante volte tu dici, ritornando dall'aver trascorso una parte della notte in un cabaret o in una danza: «Sono pentito di esserci andato; se avessi saputo tutto quello che vi succede, non ci sarei andato».

Ma, al contrario, se tu avessi trascorso una parte della notte in preghiera, bel lungi dall'esserne pentito, avresti sentito dentro di te una certa gioia, una dolcezza che avrebbe divorato il tuo cuore con i suoi dardi d'amore.
Pieno di gioia avresti detto come il santo re Davide: «O mio Dio! un giorno trascorso nel tuo tempio è preferibile a mille, passati nelle assemblee mondane».

I piaceri che tu gusti nel mondo ti disgustano; quasi ogni volta che ti ci dedichi, prendi la decisione di non ritornarci più; spesso addirittura ti lasci andare alle lacrime, fino quasi a disperarti perchè non riesci a correggerti; maledici le persone che hanno cominciato a farti deviare; te ne lamenti ad ogni istante; tu invidi la felicità di coloro che trascorrono tranquillamente i loro giorni nella pratica della virtù, in un completo disprezzo dei piaceri del mondo; quante volte i tuoi occhi lasciano colare perfino le lacrime, vedendo quella pace e quella gioia che brillano sul volto dei buoni cristiani; che dire? tu porti invidia perfino verso le persone che abitano sotto il loro stesso tetto.

Io dico, amico mio, che quando hai trascorso le notti negli eccessi del vizio, o di qualche altro libertinaggio che non oso nominare, tu non ritrovi dentro di te nient'altro che turbamento, noia, rimpianto e disperazione; hai fatto tutto ciò che hai potuto per appagarti, senza venirne a capo.

Ebbene! amico mio,vedi com'è più dolce soffrire per Dio piuttosto che per il mondo?
Quando si trascorre una notte o due in preghiera, ben lungi dall'esserne infastidito o di pentirti, o di avere invidia di coloro che passano quel tempo nel sonno o nella mollezza, al contrario, si compiange la loro disgrazia e il loro accecamento; si benedice mille volte il Signore per averci ispirato il pensiero di procurarci tante dolcezze e consolazioni; ben lungi dal maledire le persone che ci hanno fatto abbracciare un tale genere di vita, noi non possiamo vederle, senza versare lacrime di riconoscenza, tanto ci sentiamo felici; ben lungi dal prendere la decisione di non ritornarci mai più, noi ci sentiamo risoluti a fare ancora di più, e nutriamo una santa invidia verso coloro che si occupano solo di lodare il buon Dio.

Se hai speso il tuo denaro per i tuoi piaceri, l'indomani lo piangerai; ma un cristiano che lo abbia donato per conservare in vita un pover'uomo che non riusciva a vivere, un cristiano che abbia vestito un infelice che era nudo, ben lungi dal rimpiangerlo, al contrario, cerca continuamente il modo per fare di più; egli è pronto, se occorre, a privarsi del necessario, a spogliarsi di tutto, tanta è la gioia di poter confortare Gesù Cristo nella persona dei poveri.

Ma, senza andare così lontano, amico mio, non avrai più difficoltà, quando sarai in chiesa, a starci con rispetto e modestia, piuttosto che ridere e girare la testa qua e là; ti sentirai meglio a poggiare per terra le due ginocchia, piuttosto che tenerne uno sospeso per aria.
Quando ascolti la Parola di Dio, ti sarà più penoso ascoltarla, nella speranza di trarne profitto, appena possibile, o piuttosto uscire fuori per divertirti a chiacchierare di cose indifferenti, o forse cattive?
(pensiero un po' contorto: è più piacevole restare ad ascoltare, piuttosto che aspettare con insofferenza il momento di uscire dalla chiesa; n.d.a.).

Non saresti più contento se la tua coscienza non ti rimproverasse nulla, e se ti accostassi di tanto in tanto ai sacramenti, che ti darebbero tanta forza per affrontare con pazienza le miserie della vita?

Se ne dubitate, fratelli miei, chiedete a quelli che hanno celebrato il precetto pasquale come erano contenti per qualche tempo, e cioè fino a che hanno avuto la felicità di essere amici del buon Dio (si ricordi che sta parlando nel giorno dell'Ascensione, 40 giorni dopo la Pasqua; n.d.a.).

Dimmi, amico mio, ti sarebbe penoso allo stesso modo, se i tuoi genitori brontolassero perchè sei rimasto troppo in chiesa, oppure se ti rimproverassero per aver trascorso la notte nei bagordi?

No, no, amico mio, da qualunque lato tu consideri ciò che fai per il mondo, ti costa molto di più di ciò che fai per piacere a Dio e salvare la tua anima.

Per non parlare della differenza che ci sarà al momento della morte, tra un cristiano che ha servito bene il buon Dio, e i rimpianti e la disperazione di colui che ha seguito solo i suoi piaceri, che ha cercato solo di appagare i desideri corrotti del suo cuore; poichè non vi è niente di tanto bello come veder morire un santo: Dio stesso gli fa l'onore di essere presente, com'è riportato nella vita di molti.

Si potrebbe mai paragonarlo con gli orrori che si sperimentano alla morte del peccatore, allorchè i demoni gli sono alle costole, e si divorano gli uni gli altri, facendo a gara a chi avrà la barbara consolazione di essere il primo a trascinarlo negli abissi?

Ma no, lasciamo da parte tutto questo, e fermiamoci solo alla vita presente.

Concludiamo dicendo che, se voi faceste per Dio quello che fate per il mondo, sareste dei santi.
«Oh! pensi fra te, tu ci dici che non è affatto difficile andare in Cielo; ma a me sembra che ci siano da fare tanti sacrifici ».
Non vi è dubbio: ci sono da fare dei sacrifici, altrimenti falsamente Gesù Cristo ci avrebbe detto che la porta del Cielo è stretta, che bisogna fare degli sforzi per entrarvi, che bisogna rinunciare a se stessi, prendere la propria croce e seguirlo, che ci sono molti che non faranno parte del numero degli eletti; perciò ci promette il Cielo come ricompensa che ci saremo meritata.

Guardate che cosa hanno fatto i santi per procurarsela.
Andate, fratelli miei, nei meandri del deserto, entrate nei monasteri, percorrete quelle grotte, e domandate a quella moltitudine di santi: Perchè tante lacrime e tante penitenze? Salite sui patiboli, e informatevi su ciò che cercano di guadagnare. Tutti vi risponderanno che lo fanno per guadagnarsi il Cielo.

O mio Dio! quante lacrime questi poveri solitari hanno versato per tanti anni!
O mio Dio! quante penitenze e quanti rigori hanno esercitato sui loro corpi, tutti questi illustri anacoreti!
Quanto a me, io non vorrei soffrire nulla, io che ho la stessa loro speranza, e lo stesso Giudice che mi deve esaminare?

O mio Dio! come sono vile, quando si tratta di faticare per il Cielo! Come mi serviranno di condanna i tuoi santi, allorchè ti mostreranno quanti sacrifici hanno dovuto fare per piacerti!

Tu dici che costa troppo andare in Cielo: dimmi, amico mio, forse che non costò nulla a san Bartolomeo lasciarsi scorticare ancora vivo, per piacere a Dio?
Non costò nulla a san Vincenzo, quando fu steso su un cavalletto, e gli si bruciò il corpo con delle torce ardenti, fino a che le sue viscere caddero nel fuoco? allorchè, in seguito, fu condotto in prigione, e avendogli preparato un letto con pezzi di bottiglie di vetro, lo si fece coricare sopra?

Amico mio, domanda a sant'Ilarione che cosa fece per ottant'anni nel deserto, piangendo notte e giorno?
Vai a interrogare un san Girolamo, questo grande saggio: chiedigli, perchè si percuoteva il petto con pietre, fino ad essere tutto ricoperto di ferite?

Vai nelle grotte, a trovare il grande sant'Arsenio, e chiedigli perchè ha lasciato i piaceri del mondo, per andare a piangere per il resto dei suoi giorni tra le bestie sevatiche.

Non vi è altra risposta, amico mio: «Ah! è stato per guadagnarci il bel Cielo, che non è poco; oh! come queste penitenze sono ben poca cosa, se le paragoniamo alla felicità che esse ci preparano!».

No, fratelli miei, per i santi non esisteva nessuna specie di tormenti che non sarebbero stati disposti a sopportare, pur di guadagnarsi il bel Cielo!

Leggiamo che al tempo dell'imperatore Nerone, furono inflitte ai cristiani delle crudeltà così spaventose, che il solo pensiero ci fa fremere.
Non sapendo in che modo iniziare la sua persecuzione contro i cristiani, egli appiccò il fuoco nella città, per far credere che erano stati i cristiani a farlo.
Vedendosi approvato per tutte queste cose, egli si dedica a tutto ciò che il suo furore può ispirargli.
Simile a una tigre infuriata, che annusa la carneficina, gli uni, li faceva cuocere in pelli di animale e poi li faceva gettare nei campi, per farli divorare dai cani; agli altri, faceva indossare un vestito imbevuto di pece e di zolfo, e li faceva appendere agli alberi delle strade principali, per servire da torce ai passanti, durante la notte; egli stesso ne aveva allestito due viali, nel suo giardino, e la notte, vi faceva appiccare il fuoco, per provare il barbaro piacere di condurre il suo carro alla luce di questo spettacolo triste e straziante.

Ma siccome il suo furore non si sentiva ancora soddisfatto, inventò un altro supplizio, ed ecco quale: fece allestire degli ammassi di rame, in forma di tori (paragone incomprensibile; n.d.a.), li faceva arroventare per diversi giorni, e poi, tutti i cristiani che poteva catturare, li si gettava all'interno, dove li si vedeva ardere impietosamente.

Fu durante quella stessa persecuzione che san Pietro fu messo a morte. Trovandosi in prigione, insieme a san Paolo, che fu decapitato, san Pietro trovò il modo di evadere dalla prigione.
Mentre era in cammino, Nostro Signore gli apparve e gli disse: «Pietro, Io vado a morire una seconda volta a Roma», e disparve.
San Pietro, avendo compreso da ciò che non doveva fuggire la morte, ritornò in prigione, e venne condannato a morire sulla croce.
Quando sentì pronunciare la sua sentenza: «O grazia! O felicità! morire della stessa morte del mio Dio!».
Ma poi chiese un favore ai suoi carnefici, e cioè che gli permettessero di essere crocifisso con la testa in giù, «perchè, diceva, io non merito la felicità di morire in una maniera simile a quella del mio Dio».

Ebbene! amico mio, forse che non è costato nulla ai santi, andare in Cielo?
O bel Cielo! se ci costassi tanto quanto sei costato a tutti questi beati, chi di noi ci andrà?
Ma no, fratelli miei, consoliamoci, Dio non chiede a noi tutto questo.

«Ma, penserete voi, che dobbiamo fare, dunque, per poterci andare?».
Ah! amico mio, ciò che bisogna fare, lo so bene, io... Hai davvero voglia di andarci?
«Oh! senza dubbio, tu dici, è lì tutto il mio desiderio; se faccio le preghiere, le penitenze, è proprio per meritare quella felicità».
Ebbene, ascoltami un istante, e te lo dirò.
Che cosa bisogna fare? non devi trascurare le tue preghiere, al mattino e alla sera; non devi lavorare la domenica; devi frequentare spesso i sacramenti; non devi ascoltare il demonio, quando ti tenta, ma, immediatamente, ricorrere a Dio.
«Ma, tu pensi, queste cose le potrei fare, ma, quanto a confessarsi, questo non è molto comodo».
Ciò non è troppo comodo, amico mio? quindi preferisci restare nelle mani del demonio, piuttosto che scacciarlo per rientrare nel seno del tuo Dio, che tante volte ti ha fatto sperimentare come sia buono?
Non consideri forse uno dei momenti più felici, quello in cui hai la felicità di ricevere il tuo Dio?
O mio Dio! se vi si amasse, quanto si desidererebbe quel felice momento!...

Coraggio! amico mio, non ti scoraggiare; molto presto arriverai alla fine delle tue pene; guarda il Cielo, quella dimora santa e durevole; apri gli occhi, e vedrai il tuo Dio che ti tende la mano per attirarti a Sè.

Sì, amico mio, tra qualche istante farà a te ciò che fece a Mardocheo, per manifestare la grandezza delle tue vittorie sul mondo e sul demonio.
Il re Assuero, per far riconoscere a tutti, i meriti del suo generale, volle farlo salire sul suo carro trionfale, con un araldo che marciava davanti a lui gridando: «E' così che il re ricompensa coloro che gli rendono un servizio».

Amico mio, oh! se in questo momento, Dio presentasse ai nostri occhi uno dei suoi beati, in tutto lo splendore della gloria di cui è rivestito in Cielo, se ci mostrasse tutte quelle gioie, quelle dolcezze, quelle delizie dalle quali i santi sono inondati nella patria celeste, e se gridasse a tutti noi: «O uomini, perchè non amate il vostro Dio? Perchè non lavorate per meritarvi un Bene così grande?
O uomo ambizioso, che hai incollato il tuo cuore alla terra, che cosa sono gli onori di questo mondo frivolo e perituro, in confronto agli onori e alla gloria che Dio ci prepara nel suo Regno?
O uomini avari, che desiderate queste ricchezze periture, come siete ciechi per non voler guadagnare quelle che non avranno mai fine!».

L'avaro cerca la felicità nei suoi beni, l'ubriaco nel suo vino, l'orgoglioso negli onori, e l'impudico nei piaceri della carne.
Ah! no, no, amico mio, ti stai sbagliando, solleva gli occhi della tua anima verso il Cielo, dirigi il tuo sguardo verso quel bel Cielo e vi troverai la tua perfetta felicità; calpesta e disprezza la terra, e così troverai il Cielo!

Fratello mio, perchè ti immergi dentro questi vizi vergognosi?
Guarda questi torrenti di delizie che Gesù Cristo ti prepara nella patria celeste! ah! sospira dietro a questo felice momento!...

Sì, fratelli miei, tutto ci avverte, tutto ci sollecita a non perdere questo tesoro.
I santi, che sono in quel bel soggiorno, ci gridano dall'alto dei loro troni di gloria: «Oh! se poteste comprendere bene la felicità della quale noi godiamo, per qualche breve istante in cui abbiamo combattuto!».

Ma i dannati ce lo dicono in una maniera ancora più commovente: «O voi che siete ancora sulla terra, oh! come siete fortunati perchè potete ancora guadagnarvi quel Cielo che noi abbiamo perso! Oh! se fossimo al posto vostro, come saremmo più saggi di quanto non lo siamo stati; noi abbiamo perso il nostro Dio, e lo abbiamo perduto per sempre! Oh! disgrazia incomprensibile!... o infelicità irreparabile!... Bel Cielo, noi non ti vedremo mai!...».

Oh! fratelli miei, chi di noi non sospira, dietro a questa così grande felicità?