La confessione pasquale

Domenica di “Quasimodo”
La confessione pasquale
«Era vicina la Paqua, che era la grande festa dei Giudei»
(Giovanni 6,4)

Sì, fratelli miei, eccolo arrivato e trascorso, questo tempo felice, in cui tanti cristiani hanno abbandonato il peccato, il demonio, e hanno strappato le loro povere anime dalle grinfie dell’inferno, per rimettersi sotto l’amabile giogo del Salvatore.

Ah! Piacesse a Dio che fossimo nati al tempo felice dei primi cristiani, che vedevano arrivare questo momento con una santa allegria!

O bel giorno! O giorno di salvezza e di grazia, che ne è stato di te?
Dove sono quelle gioie sante e celesti, che fanno la felicità dei figli di Dio?
Sì, fratelli miei, o questo tempo di grazia si volgerà a nostra salvezza, oppure si volgerà a nostra perdizione: sarà la causa della nostra felicità, se corrispondiamo alle grazie che ci vengono offerte in questo momento prezioso, si volgerà, invece, a nostra perdizione se non ne approfittiamo, o se ne abusiamo.

«Ma, mi direte voi, che vuol dire questa parola “pasqua?».
Non lo sai, dunque, amico mio? Ebbene! ascoltami e lo saprai. Vuol dire “passaggio”, cioè uscita dalla morte del peccato, e passaggio alla vita della grazia.
Da questo capirete se le vostre pasque sono buone, e se potete stare tranquilli, soprattutto voi, brave persone, che vi accontentate di adempiere ai comandamenti della Chiesa, di fare soltanto una confessione e una comunione per Pasqua (sta facendo dell’ironia su coloro che si accontentano del minimo richiesto dalla legge della Chiesa, e non vanno oltre; n.d.a.).

Perchè, fratelli miei, la Chiesa ha stabilito il santo tempo di quaresima?
«E’ perchè, mi direte voi, ci vuol fare preparare a celebrare degnamente il santo tempo di Pasqua, che è un tempo nel quale il buon Dio sembra raddoppiare le sue grazie, e stimola i rimorsi della nostra coscienza, per farci uscire dal peccato».

Molto bene, amico mio, è quello che ti insegna il tuo catechismo.
Ma se io domandassi a un bambino: qual è il peccato di coloro che non fanno il precetto pasquale? egli mi risponderebbe, molto semplicemente, che è un grave peccato mortale; e se io gli dicessi: «Quanti peccati mortali ci vogliono , per essere dannati?», egli mi risponderebbe: «Ne basta uno solo, se si muore senza averne ricevuto il perdono» (l’espressione che traduciamo con “precetto pasquale” in francese, nell’espressione allora usuale, adoperata dal curato, suona letteralmente: “le pasque”; n.d.a.).

Ebbene! amico mio, che ne pensi di ciò? Tu non hai fatto il precetto pasquale?
«Eh! no, mi risponderesti».
«Ma, poichè non hai fatto il precetto pasquale, e poichè mancare a ciò è peccato mortale, tu dunque sarai dannato!».

Che ne pensi, amico mio? Non è forse vero che non te ne importa niente?
Ah! tu hai ben ragione, dici fra te e te, ma se sarò dannato, non lo sarò da solo.
Alla buon’ora! Se questo non ti importa, se ti è indifferente sia essere dannato che salvato, consolati pure; se tu pensi di addolcire la tua disgrazia, consolandoti perchè non sarai il solo, allora è inutile che ti stia a tormentare.
Povera anima! che ne pensi del discorso che fa questo corpo di peccato, dove hai la disgrazia di abitare?
Oh! quante lacrime dovrai spargere per tutta l’eternità! Oh! quanti gemiti! Oh! quante urla dovrai emettere tra le fiamme, senza sperare di poterne uscire! Oh! quanto sei disgraziata per essere costata tanto a Gesù Cristo, per poi vedertene separare per sempre!

Perchè, fratelli miei, non avete fatto il precetto pasquale?
«E’ perchè, mi direte voi, non abbiamo voluto».
«Ma se morirete in questo stato sarete dannati».
«Tanto peggio».
«Ebbene! ditemi, credete voi di avere un’anima?»
«Ah! lo so bene di avere un’anima».
«Ma forse credete che, una volta morti, tutto è finito?».
«Ah! pensate dentro di voi, lo so bene che la nostra anima sarà felice o infelice, secondo che abbia agito bene o male».
«E chi può renderla infelice?».
«E’ il peccato, mi risponderete».

Vi sentite colpevoli di aver peccato, quindi devo concludere che sarete dannati.
Non è vero, amico mio, che sei venuto a confessarti una volta o due, ma non sei andato oltre.
Perchè questo? E’ perchè non hai voluto correggerti e perchè ti è indifferente sia vivere nel peccato ed essere dannato, sia abbandonare il peccato per essere salvato.

Vuoi essere dannato? Ebbene! non ti preoccupare, che lo sarai di certo.
E’ vero, sorella mia, che hai lasciato passare la Pasqua senza confessarti? Durante la quaresima sei vissuta nel peccato, e a Pasqua pure; perchè ciò?
Eccoti la ragione: è perchè non hai più religione, hai perso la fede, è perchè non pensi ad altro che a gioire un po’ in questo mondo, in attesa di essere gettata tra le fiamme!
Ci rivedremo, sorella mia, sì, ci rivedremo un giorno!
Sì, vedremo le tue lacrime, la tua disperazione; io ti riconoscerò, almeno credo; ti sei voluta perdere, ne sei di certo padrona.

Sì, fratelli miei, mettiamoci le bende agli occhi, lasciamo nascoste tutte queste lordure nelle tenebre, fino al giorno del Giudizio!
(è severo il santo curato, oppure sono degli autentici incoscienti, per non dire altro, i moderni predicatori, che omettono di parlare dell’inferno, assumendosi la tremenda responsabilità di aver condannato, col loro silenzio, tante persone, all’infelicità eterna, cioè a vivere eternamente senza Dio?; ma la vera questione è che non ci si crede più all’esistenza dell’inferno, e quindi alla dannazione eterna, al diavolo, e questo è molto pericoloso...;n.d.a.).

Esaminiamo ora che cosa sia la confessione e la comunione di coloro che si accontentano di una volta all’anno, e vedremo se possono stare tranquilli oppure no.

Amico mio, se per fare una buona confessione, bastasse chiedere perdono a Dio, dichiarare i propri peccati, e fare qualche penitenza, il peccato, che la nostra religione ci descrive come un mostro, non avrebbe nulla che debba tanto spaventarci; nulla sarebbe più facile quanto riparare la perdita della Grazia di Dio, e seguire il cammino che conduce al Cielo, che invece è tanto difficile, secondo lo stesso Gesù Cristo.

Ascoltate il discorso che fa a quel giovane che gli chiedeva se ce ne fossero molti che si salvassero, e se il cammino che conduce al Cielo, fosse così difficile da seguire.
Che cosa gli risponde il Salvatore?
«Oh! com’è stretto quel sentiero! Oh! quanto pochi sono quelli che lo seguono! Oh! anche tra quelli che lo iniziano, quanto pochi arrivano alla fine!» (cfr. Matteo 7,13-14).

Infatti, fratelli miei, dopo essere vissuti un anno intero senza disagi, senza privazione volontaria, restando occupati solo dei vostri affari temporali, dei vostri beni, o perfino dei vostri piaceri, senza prendervi la briga di correggervi, nè di lavorare per acquisire quelle virtù che vi mancano, voi venite solo nella quindicina di Pasqua, sempre il più tardi possibile, a raccontare i vostri peccati, nello stesso modo in cui fareste il racconto di una storiella.
Leggerete in un libro qualche preghiera, o ne farete qualche altra per un certo tempo.

Mediante ciò, tutto sarà stato detto, e voi ritornerete al vostro tran-tran ordinario; rifarete ciò che avete già fatto, vivrete secondo il vostro solito, e, come prima vi si vedeva nei giochi e nei cabarets, lì vi si vedrà di nuovo; se vi si trovava nelle danze e nei balli, lì vi si ritroverà, e così per tutto il resto.

Alla prossima Pasqua, ripeterete la stessa cosa.
E così eserciterete questo commercio, fino alla morte: e cioè, quel sacramento della Penitenza, dove Dio sembra dimenticare la sua Giustizia per manifestare solo la sua Misericordia, non sarà altro per voi che un gioco o un divertimento!

Ascoltami bene, amico mio: se le tue confessioni non sono niente più di questo, potrai concludere benissimo, che esse non valgono un bel nulla, per non dire altro.

Ma per convincervene meglio, esaminiamo la cosa più da vicino.
Per fare una buona confessione, che possa riconciliarci con Dio, bisogna detestare i nostri peccati con tutto il nostro cuore, e non perchè siamo obbligati a dire al prete delle cose che vorremmo nascondere perfino a noi stessi, ma perchè dobbiamo essere pentiti per aver offeso un Dio tanto buono, per essere rimasti per tanto tempo nel peccato, per aver disprezzato tutte le sue grazie, con le quali ci sollecitava ad uscirne.

Ecco, fratelli miei, ciò che deve far scorrere le nostre lacrime e infrangere il nostro cuore.

Dimmi, amico mio, se tu avessi questo dolore sincero, non ti affretteresti a riparare il male che ne è la causa, e a ritornare subito in grazia di Dio?

Che ne diresti di un uomo il quale, a sproposito, si sia imbronciato con il proprio amico, e che, riconosciuta la propria colpa, se ne sia subito pentito?
Non cercherà subito la maniera di riconciliarsi?
Se il suo amico facesse qualche passo verso di lui riguardo a ciò, non approfitterebbe subito dell’occasione?
Ma, se, al contrario, non apprezzasse tutto questo, non avreste ragione di credere che per lui, stare bene o male verso quella persona, sia la stessa cosa? Il paragone è pertinente.

Colui che ha avuto la disgrazia di cadere nel peccato, sia per debolezza che perchè colto di sorpresa, oppure anche per malizia, se ne provasse un sincero dispiacere, potrebbe mai restare a lungo in quello stato?
Non farà subito ricorso al sacramento della Penitenza?
Ma, se, al contrario, restasse per un anno nel peccato, e vedesse arrivare il santo tempo di Pasqua con una certa pena, perchè dovrà confessarsi; se, ben lungi dal venirsi a presentare al tribunale della Penitenza all’inizio della quaresima, per poter avere più tempo per fare penitenza, e non passare subito dal peccato alla Tavola santa; se quello stesso volesse sentir parlare di confessione, soltanto a Pasqua, cercando anche di ritardare fino alla quindicina precedente, oppure se verrà a presentarsi con le stesse disposizioni di un criminale condotto a morte, che cosa significherebbe tutto questo, amico mio? (si noti l’interminabile “protasi multipla”, di questo periodo ipotetico carico di foga oratoria, ma soprattutto di premura psicologica e spirituale; n.d.a.).

Ecco che cosa significa: significa che, se la Pasqua fosse prolungata fino alla Pentecoste, voi vi confessereste a Pentecoste, oppure che se arrivasse ogni dieci anni, voi vi confessereste ogni dieci anni; e, infine, che se la Chiesa non ve ne facesse un obbligo, voi vi confessereste dolo al momento della morte.

Che ne pensi, fratello mio?
Non è forse vero, amico mio, che non è nè il dispiacere per aver offeso Dio, che ti fa confessare, nè è l’amore di Dio che ti conduce al precetto pasquale?

«Ah! mi risponderai, almeno è qualche cosa, non lo faccio senza sapere il perchè».
Ah! tu non sai proprio niente! Tu lo fai solo per abitudine, tanto per dire che hai fatto il precetto pasquale, oppure, se vuoi dire la verità, devi dire che hai aggiunto ai tuoi vecchi peccati, un nuovo peccato

Non è dunque nè l’amore di Dio, nè il dispiacere per averlo offeso, che ti fa confessare e fare il tuo precetto pasquale, e nemmeno il desiderio di condurre una vita più cristiana.
Eccotene la prova.
Se tu amassi il buon Dio, potresti mai acconsentiure a commettere il peccato con tanta facilità, e perfino, con tanto piacere?
Se tu provassi orrore del peccato,come dovresti averlo, potresti mai conservarlo nella coscienza per un intero anno?
Se tu avessi un vero desiderio di condurre una vita più cristiana, non si vedrebbe almeno qualche piccolo cambiamento nel tuo modo di vivere?

No, fratelli miei, oggi non voglio parlarvi di quei disgraziati che dicono solo la metà dei loro peccati, per paura di non fare il precetto pasquale, o di essere rimandati senza assoluzione, o forse perfino per coprire la loro vita vergognosa, con un velo di virtù.
Costoro, nello stato in cui si trovano, si avvicinano alla Tavola santa, e vanno a consumare la loro riprovazione, consegnano il loro Dio al demonio, e vomitano la loro anima maledetta, nell’inferno! (cfr. 1 Corinzi 11,27-30!).

No, oso sperare che questo non vi riguardi; tuttavia continuerò a dirvi che le confessioni annuali non hanno nulla di tranquillizzante per voi.

«Ma, mi direte voi, che cosa bisogna fare perchè una confessione sia buona?».
Lo vuoi sapere, amico mio? Ecco, ascolta bene e vedrai se sei in sicurezza.

Affinchè la tua confessione meriti il perdono, bisogna che essa sia umile e sincera, accompagnata da un sincero dolore causato dal dispiacere per aver offeso Dio, non a motivo dei castighi che il peccato merita, e con un fermo proposito di non più peccare in avvenire.

Da questo, io dico che è molto difficile che tutte queste disposizioni si trovino in coloro che si confessano soltanto una volta all’anno, e ve lo dimostrerò.

Che cos’è un cristiano ai piedi di un sacerdote, al quale fa la confessione dei suoi peccati?
E’ un peccatore che viene, con il dolore nel cuore, e si getta ai piedi del suo Dio, come un criminale davanti al suo giudice, per accusare se stesso, al fine di domandare la sua grazia.

Come si accuserà? Ecco: «Sono un criminale indegno di essere chiamato figlio; ho vissuto fino ad ora in una maniera completamente opposta a quella che la mia religione mi comandava; ho provato solo disgusto per tutto ciò che aveva relazione col servizio di Dio; i santi giorni di domenica e di festa, sono stati per me solo giorni di piacere e di traviamento, o, per meglio dire, non ho fatto proprio nulla fino ad ora; io sono perduto e dannato, se Dio non ha pietà di me».

Ecco, fratelli miei, i sentimenti di un cristiano che abbia in orrore il peccato.

Ma, ditemi, è in questo modo che si accusano coloro che ritengono che non sia affatto troppo, restare dodici mesi nel peccato, e che trovano che il precetto pasquale arrivi sempre troppo presto?

Ahimè! mio Dio, se vedeste le confessioni annuali che fanno questi poveri disgraziati: le fanno con un disgusto mortale!

O no, no, amico mio, non sembrano affatto come un criminale coperto di vergogna e penetrato dal dolore di aver offeso Dio, che si umilia, che si accusa da solo, che chiede un perdono di cui si ritenga infinitamente indegno.
Ma, ahimè! oserei dire, invece, che sembrano come un uomo che racconti una storia e che la racconti male, che cerchi di nascondersi e di sembrare il meno colpevole possibile.

Ascoltatelo: non è lui che ha commesso quel peccato di impurità, ma è un altro che lo ha spinto, come se lui non fosse padrone di non seguire il consiglio dell’altro.
Non è lui che è montato in collera, ma è stato il suo vicino che gli ha rivolto una parola piccante.
E’ mancato dalla Messa, è vero, ma è stata la compagnia che frequenta, la vera causa.
Una volta ha mangiato di grasso in un giorno proibito, ma se non lo avessero spinto, non lo avrebbe fatto.
Ha parlato male di qualcuno, ma è stato chi si trovava con lui, che lo ha fatto peccare.

Per meglio dire, il marito accusa la moglie, la moglie accusa il marito; il fratello, la sorella, e la sorella, il fratello; il padrone, il domestico, e il domestico cerca di scaricarsi,come meglio può, sul suo padrone.

Quando dicono il “Confiteor” accusano se stessi, dicendo: “Per mia colpa...”; ma due minuti dopo, si scusano e accusano gli altri.

Niente umiltà, niente sincerità, e niente dolore:: ecco precisamente le disposizioni di coloro che si confessano solo una volta l’anno.

Un povero pastore, vedrà bene, dal modo in cui si accusano, che non hanno affatto le disposizioni necessarie per ricevere l’assoluzione, e vorrebbe dare loro altro tempo, per impedirgli di commettere un sacrilegio.
Ma essi cosa fanno? Ascoltate: mormorano, dicendo che non avranno il tempo di ritornare, e che un’altra volta non saranno meglio disposti; poi finiscono col dirvi che se non li volete ricevere, essi si rivolgeranno a un altro che non sarà così scrupoloso, e che li assolverà...
Come se Dio non potesse vivere senza di loro! Poveri ciechi!...
Giudicate voi, da tutto ciò, quali sono le loro disposizioni.

Il sacerdote si accorge bene, dal modo come si accusano, che non stanno dicendo tutto; è costretto a fare loro mille domande; essi non dicono nè il numero, nè le circostanze che cambiano la specie.

Ci sono alcuni peccati, che essi non vorrebbero nè dire nè tacere. Allora cosa fanno? Li dicono a metà, come se il sacerdote potesse indovinare ciò che si agita nel loro cuore.
Ci si accontenta di raccontare i peccati all’ingrosso, senza nemmeno distinguere i pensieri dai desideri.

Il sacerdote gli dirà: «Hai mai nutrito pensieri di orgoglio, di vanità, di vendetta, o d’impurità?
tu sai bene che tutte queste cose diventano peccati mortali, se ci si sofferma volontariamente su di essi (viene chiamata dai moralisti la “delectatio morbosa”, n.d.a.). Hai mai commesso qualcuna di queste colpe?».
«Forse, risponderà, ma non mi ricordo».
«Ma bisogna specificare, pressappoco il numero, altrimenti la tua confessione non vale niente».
«Ah! signore, come vuoi che mi ricordi tutti i pensieri che ho avuti durante l’anno? mi è impossibile».

Ah! mio Dio, che confessioni, o piuttosto che sacrilegi!...
No, fratelli miei, quasi mai ci si accusa delle circostanze che aggravano il peccato, e che possono rendere un certo peccato, mortale.

Ascoltate come ci si accusa: «Mi sono ubriacato, ho calunniato il mio prossimo, ho commesso il peccato contro la santa virtù della purezza, ho litigato, mi sono vendicato; e se il confessore non fa qualche domanda, si ferma lì».

«Ma, gli dirà il confessore, quante volte ti è successo questo?
Hai forse commesso quel certo peccato mentre eri in chiesa?
Era forse il santo giorno di domenica?
E’ successo davanti ai tuoi figli o ai tuoi domestici?
C’era gente?
La reputazione del tuo prossimo, ne ha forse subito qualche discapito?
Quei pensieri di orgoglio, ti sono forse venuti mentre eri in chiesa, durante la santa Messa?
Ti ci sei soffermato per molto tempo?
Quei pensieri contrari alla santa virtù della purezza, sono stati accompagnati da cattivi desideri?
Quel certo peccato, lo hai commesso perchè colto di sorpresa, o per malizia?
Hai forse aggiunto peccato a peccato, pensando che non ti sarebbe costato di più confessarti di molti, piuttosto che di pochi?» (ha fatto un elenco di molte circostanze che possono mutare la specie del peccato; n.d.a.).

Ci sono di quelli che non si accontentano di non aggiungere alcun dettaglio ai loro peccati, ma vi dicono anche che non hanno nulla da rimproverarsi (del tipo: “non ho fatto nessun peccato”; n.d.a.), che non hanno tempo, che devono andarsene.
Non hai il tempo, amico mio?
Ebbene! vai pure. Tanto, sia che tu te ne vada, sia che resti, è la stessa cosa.

O mio Dio! che disposizioni! O mio Dio! sono questi i peccatori che vengono a piangere i loro peccati?
Bisogna tuttavia convenire che ci sono anche quelli che fanno del loro meglio per esaminarsi per bene, e che dichiarano i loro peccati come meglio possono; ma lo fanno con una tale indifferenza, una tale freddezza, e una così grande insensibilità, da lacerare il cuore di un povero prete.

Nessun sospiro, nessun gemito, nessuna lacrima! nessun segno che manifesti il dolore che procurano loro i peccati commessi!
Bisogna che il sacerdote, per dargli l’assoluzione, si persuada che forse hanno delle disposizioni che non riescono a manifestare.
So bene che le lacrime e i sospiri, non sono dei segni infallibili di contrizione, nè di conversione. Accade fin troppo spesso che ci siano di quelli che piangono i loro peccati al tribunale della penitenza, ma che poi non sono veri cristiani.
Ma è anche molto difficile raccontare con tanta freddezza e indifferenza, ciò che dovrebbe necessariamente rattristarci ed eccitare le nostre lacrime.

Se un uomo fosse certo di ricevere la grazia, confessando i suoi crimini, io vi lascio pensare se egli potrebbe mai dichiararli, senza far colare le sue lacrime, nella speranza che la dimostrazione esteriore tocchi il cuore del suo giudice, che gli accorderà il suo perdono.

Vedete un malato, quando scopre le sue piaghe al suo medico: subito sentite i suoi sospiri, e vedete le sue lacrime che colano.
Vedete un amico che vi faccia il racconto delle sue pene: i suoi gesti, il suo tono di voce, il suo modo si esprimersi, tutto in lui vi dipinge il suo dispiacere e il suo dolore.

Perchè mai, fratelli miei, niente di tutto ciò appare quando accusiamo i nostri peccati?
Non è vero, amico mio, che non lo sai neanche tu? Spesso te ne meravigli tu stesso.
Ebbene! io te lo insegnerò: è perchè il tuo cuore non è più coinvolto delle tue parole, e il tuo interno si esprime attraverso l’esterno, e i tuoi peccati non ti addolorano di più di come appare all’esterno.
Questo è molto facile da capire, poichè, dopo il tuo precetto pasquale, tu resti ben poco cristiano, e non sei nè più saggio, nè meno peccatore di quanto non lo fossi stato prima.

Abbiamo detto che il dispiacere per aver offeso Dio, se è sincero, deve necessariamente contenere una volontà sincera di non più peccare; che se questa volontà è sincera, essa ci porterà a tenerci sempre in allerta; a respingere tutti quei cattivi pensieri, sia di vendetta, sia d’impurità, non appena li percepiamo; a fuggire le occasioni che prima ci avevano indotti a peccare; oppure a non trascurare nulla, pur di correggerci dalle nostre cattive abitudini.

Ebbene! amico mio, la tua volontà di non offendere più il buon Dio, non è dunque stata sincera, dal momento che, come prima ti hanno visto nei cabarets, ti ci vedono ancora; come prima ti vedevano frequentare certe compagnie, con le quali hai commesso certi peccati, ora ti ci vedono di nuovo.

Converrai con me che non hai fatto nessuno sforzo per vivere meglio di come sei vissuto durante l’anno.
Perchè questo, amico mio? Perchè? Ecco: è perchè tu non desideri affatto correggerti, e la tua confessione non è stata altro che una menzogna, e la tua contrizione, un fantasma di penitenza.

Ne volete una seconda prova? Eccovela.
Di cosa vi accusavate voi l’anno scorso?
Di ubriachezza, d’impurità, di collera, di negligenza nel servizio di Dio?
E di cosa vi accusate quest’anno?
Della stessa cosa.
E di cosa vi accuserete l’anno prossimo, se sarete in vita?
Ancora della stessa cosa.
Perchè questo, fratelli miei?
E’ perchè non desiderate affatto condurre una vita più cristiana; ma vi confessate soltanto in maniera negligente, tanto per dire che avete fatto il vostro precetto pasquale; o, se volete ammettere la verità, dovrete dire che vi confessate ogni anno, per aggiungere un nuovo peccato a quelli vecchi: dicendo così dite esattamente la verità.

Non vedete dunque che è il demonio che vi inganna?
Se egli vi proponesse di lasciare tutto, a voi che avete l’abitudine di confessarvi tutti gli anni, voi provereste orrore di ciò, non vorreste credergli.
Ma, per potervi un giorno possedere, egli si accontenta di farvi restare nelle vostre cattive abitudini (come dire che il demonio, quando tenta, non scava brecce, ma si insinua, come il serpente, nelle piccole fessure; n.d.a.).

Dubitate forse di ciò che vi dico?
Esaminate la vostra condotta e vedrete se vi siete corretti da qualche peccato, dopo tanti anni che vi confessate una volta all’anno; o, per meglio dire, ogni anno egli (il demonio) vi fa sprofondare sempre di più negli abissi.

«Ma, mi direte voi, tutto questo non è forse un po’ troppo scoraggiante, per farci fare il nostro precetto pasquale?».
E’ vero; ma perchè dovrei ingannarvi? E’ già abbastanza che vi inganni il demonio, senza che mi debba mettere anch’io a dargli una mano.
Vi dico la verità così com’è; dopo, ne farete ciò che volete.

Mi comporto verso di voi come un medico, in mezzo a un gran numero di malati: egli comincia a proporre a ognuno i rimedi convenienti per ristabilire la loro salute; coloro che disprezzano questi rimedi, egli li mette da parte; ma quelli che vogliono prenderli, egli li istruisce sulla maniera migliore per assumerli, dice loro il gran bene che gli faranno, se essi li prenderanno con tutte le precauzioni che indicherà loro, e, nello stesso tempo, il male che tali rimedi arrecheranno, se essi non faranno tutto ciò che sta ordinando loro, prima di servirsene.

Sì, fratelli miei, io faccio la stessa cosa: io vi faccio considerare quanto siano grandi i vantaggi che ci arrecano i sacramenti; o, per meglio dire, che se non frequentiamo i sacramenti, non vedremo mai il Volto di Dio, e possiamo essere sicuri che ci danneremo.

Verso coloro che, sia per ignoranza, sia per empietà, disprezzano questi rimedi salutari, i soli capaci di riconciliarli con il buon Dio, io agisco come quel medico che mette da parte coloro che non vogliono servirsi dei suoi rimedi.

Ma a coloro che manifestano il desiderio di assumerli, devo assolutamente far conoscere le disposizioni che occorre apportarvi.

Io credo, fratelli miei, che, forse, tutto quello che vi sto dicendo, vi metterà qualche inquietudine riguardo alle vostre passate confessioni: è ciò che desidero con tutto il cuore, affinchè, toccati vivamente dalla grazia del buon Dio, e a causa dei vostri rimorsi di coscienza, voi possiate assumere i rimedi che Dio vi offre ancora oggi, per uscire dal peccato.

«Ma, mi direte voi, che cosa dobbiamo fare per riparare a tutto ciò?».
Vuoi saperlo e poi farlo, amico mio? Ecco.
Dovete ricominciare le vostre confessioni, dal tempo in cui avete iniziato a farle senza contrizione; vi accuserete del numero delle confessioni e delle comunioni: direte anche se avete camuffato qualche peccato, e se avete compiuto qualche sforzo per non ricadervi.

Occorre, affinchè le vostre confessioni possano esservi di conforto, che ogni confessione abbia operato in voi qualche cambiamento; dovete fare come ci dice il Vangelo di Pasqua, parlando di Gesù Cristo che, una volta uscito dal sepolcro, non vi rientra più (non è il Vangelo ma san Paolo in Romani 6,9; n.d.a.).

Allo stesso modo, essendovi confessati dei vostri peccati, non dovete commetterli più (naturalmente parla dell’impegno che bisogna metterci per non cadere, specie se si tratta di peccati mortali, ma è ovvio che non esige l’impeccabilità; n.d.a.).
Occorre che facciate nascere nel vostro cuore la dolcezza, la bontà e la carità, al posto di questa collera, di quest’aria di disprezzo che fate apparire, alla minima offesa che vi si rivolga.

Prima mancavate alle vostre preghiere del mattino e della sera, o vi si vedeva farle senza attenzione e senza rispetto; ora invece, se siete veramente usciti dal peccato, vi si dovrà vedere compiere le vostre preghiere tutte le mattine e tutte le sere, con quel rispetto e con quella attenzione che la Presenza di Dio dovrebbe ispirarvi.

I santi giorni di domenica vi si vedeva spesso venire in chiesa a celebrazione già molto avanzata; adesso invece, se avete fatto bene il vostro precetto pasquale, si dovrà vedere che vi preparate di buonora, per assistere santamente a questa grande azione liturgica.

Si dovrà vedere quella moglie, che invece di correre di casa in casa, esaminando la condotta di questo o di quell’altro, è occupata nella sua casa, a istruire i suoi figli, e, per meglio dire, la virtù dovrà trasparire in tutto ciò che farà.

Lo stesso dovrà accadere a quella giovane che, da qualche tempo, si era dedicata ai piaceri, perfino a quelli più vergognosi; ma ora, avendo riflettuto sullo stato orribile in cui si era immersa, e avendo orrore di se stessa, ella si è convertita.
Se qualche tempo dopo ella incontrerà quel giovane con il quale spesso era corsa incontro ai piaceri, e quello le rivolgerà gli stessi discorsi di prima, ella, lo guarderà con un’aria di disprezzo e di indignazione, ricordandosi come questo disgraziato era stato la causa per cui aveva offeso il buon Dio, e, tutta stupita gli dirà: «Ah! disgraziato! ormai ti conosco bene! Vedo che sei sempre lo stesso, immerso nel fango del vizio; ma quanto a me, grazie a Dio, io non sono più la stessa; io ho abbandonato quel maledetto peccato che tanto aveva sfigurato la mia povera anima.
Ah! no, piuttosto morire, che ricadere nei miei vecchi peccati!».

Ecco un bel modello, per un cristiano che ha la disgrazia di peccare!

Che cosa dobbiamo concludere da tutto questo? Ecco, fratelli miei.
E’ che se non volete essere dannati, non dovete accontentarvi di confessarvi una volta all’anno, perchè, ogni volta che vi troverete in stato di peccato, voi correrete il rischio di perirvi, e di essere perduti per una eternità.

Se siete stati così disgraziati da aver nascosto qualche peccato, per paura o per vergogna, oppure lo avete confessato senza contrizione, senza desiderio di correggervene; oppure se dopo tanti anni che vi confessate, non avete notato nessun cambiamento nella vostra vita, voi dovete concludere da tutto ciò, che le vostre confessioni non valgono nulla, e, di conseguenza, non sono state altro che dei sacrilegi e delle abominazioni che vi getteranno nell’inferno.

Quanto poi a coloro che non fanno proprio il precetto pasquale, non ho niente da dire: visto che vogliono assolutamente dannarsi, ne sono padroni.
Piangiamo la loro disgrazia, preghiamo per loro: ce ne obbliga la carità che dobbiamo avere gli uni verso gli altri.

Chiediamo a Dio di non cadere mai in un tale accecamento!
Resistiamo coraggiosamente al mondo e al demonio!
Aneliamo senza sosta verso la nostra vera patria, che è il Cielo, nostra gloria, nostra ricompensa, e nostra felicità.
E’ quello che vi auguro...